Etica e politica, la difficile unità nella sinistra Usa. E Harris temporeggia
Elettorale americana Tra nuovi alleati e vecchi rivali. Il posizionamento ideologico della candidata dem è ancora materia di discussione: se a destra viene indicata come «marxista», la stampa progressista la considera una «pragmatica»
Elettorale americana Tra nuovi alleati e vecchi rivali. Il posizionamento ideologico della candidata dem è ancora materia di discussione: se a destra viene indicata come «marxista», la stampa progressista la considera una «pragmatica»
Quando un primo drappello di emigrati puritani sbarcò nella Baia del Massachussetts, la loro guida John Winthrop, prima di poggiare piede sulla terra ferma, scrisse il sermone «Un modello di carità Cristiana». Sanciva la nascita di una nazione di santi: una società giusta che avrebbe costituito un modello di uguaglianza ed equanimità per il mondo intero.
Secoli e secoli più tardi si è scoperto, senza troppa fatica, che gli Usa non sono una nazione di santi. Tuttavia, a quella tradizione puritana in qualche modo ossessionata dalla morale si è rifatto il sindacalista Leo Casey, in un intervento uscito su Dissent lo scorso 8 ottobre.
Casey indica nel «moralismo» oltranzista dell’ultrasinistra americana qualcosa che ha paralizzato il movimento democratico: «Invece di cercare un terreno comune con gli alleati necessari, cerca le mancanze morali negli altri; invece di costruire il consenso, si concentra sull’isolamento di un’avanguardia moralmente pura dal corpo dei moralmente deceduti. È una politica di ‘lettere scarlatte’», in riferimento all’omonimo romanzo di Nathaniel Hawthorne.
Allo stesso modo, una scelta degli alleati basata unicamente sull’ineccepibilità etica e morale avrebbe, secondo Casey, indebolito a morte la socialdemocrazia americana. Un distanziamento letale dalla realpolitik che avrebbe disperso le forze della sinistra e regalato molti voti ai repubblicani.
UN’IDEA SIMILE è stata espressa lo scorso marzo da Arash Azizi, opinionista di The Atlantic, nell’articolo «Troppa purezza è un male per la sinistra». Azizi notava l’eterna parcellizzazione della sinistra Usa che, piuttosto che tentare coalizioni di vario tipo, «ha speso decenni impantanata in sottoculture di nicchia di gruppi di attivisti: sono marginali e tuttavia rifiutano coalizioni che rischiano di tradire la loro purezza».
Azizi faceva riferimento soprattutto ai Democratic Socialists of America, l’organizzazione politica di provenienza di Bernie Sanders e Alexandra Ocasio-Cortez, che quattro anni fa decise di non dare supporto a Joe Biden – della severità di Dsa ne sa qualcosa la stessa Ocasio-Cortez, che a luglio ha visto l’organizzazione revocarle l’endorsement a causa di posizioni giudicate troppo moderate sul conflitto israelo-palestinese. Azizi, d’altra parte, auspicava che l’ala più a sinistra del partito accettasse una contaminazione e trovasse un accordo anche con i moderati «per difendere e cambiare la vera vita delle persone».
Oggi Harris sembra ancora temporeggiare. Il suo posizionamento ideologico è ancora materia di discussione: se a destra viene indicata come «marxista», la stampa progressista la considera una «pragmatica», spesso volutamente ambigua e morbida su temi considerati divisivi. Harris dà un colpo al cerchio e uno alla botte: mostra segni del suo accordo con l’ala più a sinistra del partito scegliendo Walz come secondo (cosa che è molto piaciuta a Dsa) ed esibendo un’agenda che secondo il quotidiano The Hill «rispecchia perfettamente quella dei socialisti americani», ma allo stesso tempo concentra la sua comunicazione su temi cari alla classe media. Inoltre, da molti commentatori a sinistra la sua posizione su temi sociali e Gaza viene giudicata «preoccupante» – come ha scritto su Jacobin Branko Marcetic lo scorso settembre.
QUEL CHE CONTA ora è che Harris ha guadagnato un largo consenso negli ultimi mesi. Balza all’occhio la quantità di testate, neutrali nel 2020, che hanno deciso di dichiarare il proprio appoggio. Forse, ciò che di più oggi spinge la sinistra è ancora l’esigenza di costruire una barricata contro Trump, percepito come serio pericolo alla democrazia, ma c’è anche la percezione che vi sia qualcosa di realmente costruttivo oltre che di semplicemente pragmatico.
«Noi crediamo che queste minacce [alla democrazia] siano reali – ha dichiarato la rivista The Nation nell’edizione di ottobre, significativamente intitolata «Per Kamala Harris» – ma sosteniamo anche Harris in quanto leader esperta e capace, con una visione del futuro dell’America che – pur non essendo progressista come preferiremmo, in particolare per quanto riguarda la politica estera – rappresenta un chiaro passo avanti rispetto ai candidati democratici alla presidenza dell’ultimo mezzo secolo».
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