Su iniziativa del governo, il parlamento ungherese ha approvato una risoluzione a favore della pace in Ucraina. In essa si legge: “Dopo un anno di guerra tra russi e ucraini è venuto il tempo della pace. Il nostro impegno è rivolto a un cessate il fuoco che avvenga quanto prima”.

Il documento vuole essere la sintesi della posizione che l’esecutivo Orbán ha assunto di fronte al conflitto e che è rimasta praticamente immutata dal suo scoppio: no all’invio di armi in Ucraina e al coinvolgimento del paese nella guerra. “Una guerra che non è nostra”, ha più volte detto il premier danubiano che si è impegnato a evitare che i suoi connazionali paghino il costo di questo scontro armato.

La risoluzione sollecita una tregua e un accordo di pace. Secondo quanto si è appreso, essa condanna l’intervento militare di Mosca e riconosce il diritto dell’Ucraina all’autodifesa ma non chiede il ritiro dell’esercito russo dal territorio ucraino.

Soprattutto in questo, la risoluzione del parlamento di Budapest differisce dal documento approvato dall’assemblea dell’Onu che invece chiede un ritiro completo.

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L’opposizione al governo Orbán tiene a sottolineare il fatto di avere una posizione distante da quella dell’esecutivo e critica il documento affermando che “senza ritiro non ci sarà mai la pace”. Tale il punto di vista dei partiti che affermano la loro adesione ai principi democratici europei e che l’anno scorso, alle elezioni politiche, si sono misurati con le forze governative subendo una pesante sconfitta.

In campagna elettorale il premier aveva posto l’accento sulla differenza di vedute e di intenti tra un governo impegnato sul fronte della pace e un’opposizione legata in modo così acritico all’”Occidente”  da trascinare il paese in guerra. Di recente l’analista Tamás Fricz, esperto di questioni internazionali ha affermato che l’Ue prende parte attiva, a favore dell’Ucraina, in questo conflitto che dura da più di un anno, volendo così intendere che l’impegno dell’Unione non è rivolto alla pace, tutt’altro.

Secondo il parlamento ungherese le sanzioni decise da Bruxelles nei confronti di Mosca non hanno mitigato in alcun modo la crisi e hanno determinato un aumento considerevole del costo dell’energia. Così, a suo avviso, “l’Ue sta finanziando la Russia”.

L’opposizione contesta queste dichiarazioni; un deputato socialista fa notare che “l’Ungheria è l’unico stato membro dell’Ue che acquista ancora petrolio e gas russi mentre gli altri paesi si stanno rivolgendo con successo a fonti energetiche diverse”.

È nota la dipendenza dell’Ungheria dalla Russia in questo ambito e sono note anche le accuse degli avversari politici di Orbán che considerano il premier responsabile di una pericolosa deriva antidemocratica imparentata con quella di marca putiniana.

Insomma, il governo ungherese conferma una posizione che definisce responsabile in quanto tesa non solo a evitare il coinvolgimento del paese nel conflitto ma anche a  riportare la pace in Europa. Così il ministro degli Esteri Péter Szijjártó ha dichiarato in questi giorni che “le vite umane si salvano non con le armi e con le sanzioni, ma con accordi di pace” e aggiunto: “non vediamo da nessuna parte al mondo forze che vogliano davvero mettere fine a questa guerra. Siamo sempre più vicini alla possibilità di un nuovo conflitto mondiale”.

Le parole degli esponenti del governo ungherese saranno anche orientate alla difesa di una scelta di politica estera che per diversi motivi intende mantenere stretti i legami con la Russia, ma si fa veramente fatica a individuare, a livello internazionale, un autentico impegno rivolto al ripristino della pace. Il punto è che la crisi russo-ucraina ha radici profonde e motivazioni che vengono da lontano, con problemi che esistono da prima degli eventi del 2014. Difficile trovare soluzioni che non si cercano.