È passato un anno dall’inizio delle ostilità armate in Ucraina e la linea del governo Orbán è rimasta quella da lui propagandata nella campagna elettorale dell’anno scorso. “Gli ungheresi non devono pagare il prezzo di questa guerra che non è nostra”. Una frase ripetuta dal premier in diverse sedi pubbliche, tra cui l’usuale conferenza stampa di fine anno svoltasi lo scorso dicembre. 

Prima ancora che scoppiasse la guerra l’Ungheria era risultata essere l’unico paese dell’Europa centro-orientale ad aver rifiutato di aderire all’invio di truppe Nato proposto da Biden per affrontare la crisi. “Non vogliamo una nuova guerra fredda, preferiamo una soluzione diplomatica”, aveva detto all’epoca il ministro ungherese degli Esteri Péter Szijjártó.

Come sappiamo, i rapporti fra Orbán e Putin sono buoni da tempo e i due paesi sono legati da accordi presi in ambito energetico: soprattutto gas e nucleare. Tutto ciò malgrado parte dell’opinione pubblica ungherese respinga questa amicizia; specialmente quella che viene definita “opposizione democratica” e i suoi sostenitori deplorano i legami tra i due governi e l’allontanamento di Budapest da Bruxelles.

Per Orbán i sentimenti antirussi sono diventati “di moda” già da prima che iniziasse questa orribile guerra. Provando a interpretare il senso di questa sua considerazione potremmo dire che a suo parere tali sentimenti sono indotti dalla propaganda delle tecnocrazie liberali che siedono a Bruxelles. Secondo l’analista Tamás Fricz, l’Ue partecipa in modo attivo a questa guerra al fianco dell’Ucraina. 

Come già detto, il sistema incarnato dal premier ungherese ha mantenuto e sottolineato questa sua posizione in campagna elettorale. In essa il tema della guerra è stato centrale e Orbán ha vestito i panni del leader impegnato a tenere il paese fuori da una guerra vicina, tanto più che il paese confina con l’Ucraina, contro un’opposizione che, a suo dire, intendeva invece trascinare Budapest nel conflitto armato. A Kiev, il capo di stato ucraino Zelen’skyj biasimava pubblicamente Orbán per la sua linea e lo accusava di essere l’unico leader europeo a spalleggiare Putin. Ma la posizione del primo ministro è rimasta ferma: “In questa guerra non possiamo vincere nulla ma non dobbiamo correre il rischio di perdere tutto. Nessun ungherese deve finire fra l’incudine ucraina e il martello russo”.

Come già precisato, l’opposizione, specie quella di centro, liberale e di centro-sinistra, condanna a sua volta questa impostazione, questa propaganda che considera falsa e ingannevole, tesa a rassicurare l’opinione pubblica e a confermarle la presenza di un sistema che protegge il paese. Secondo Gergely Karácsony, sindaco di Budapest ed esponente dell’opposizione, non bisogna identificare l’Ungheria con il governo Orbán. Di recente Karácsony ha detto che anche se l’esecutivo “agisce spesso in conformità con gli interessi di Putin, milioni di ungheresi e numerosi cittadini della capitale rifiutano questa politica”.

 Va detto che il paese non se la passa bene economicamente. Secondo i dati dell’Istituto Centrale di Statistica (KSH), l’inflazione a gennaio è stata del 25,7%, la più alta rilevata nell’Ue (Quella media Ue secondo Eurostat è del 10%). Ancora: l’aumento avvenuto in ambito energetico ammonta al 52,4%, quello relativo ai generi alimentari è invece del 44%. I consumi risultano in diminuzione perché la parte di popolazione che non riesce ad adeguarsi all’aumento del costo della vita cresce in progressione. Questo aspetto è al centro delle accuse mosse dall’opposizione contro il governo mentre Orbán fa notare che tali serie difficoltà sono provocate dalle sanzioni contro la Russia. Sta di fatto che la posizione di Budapest risulta discostante da quella generale del Gruppo di Visegrád (V4) e, nella già citata conferenza stampa di fine anno, il premier ha avuto parole di biasimo per la posizione della Polonia che, comunque, ha definito paese “storicamente amico”. Nell’occasione ha sottolineato che, in ogni caso,  “l’esistenza di un’Ucraina indipendente e sovrana è un interesse nazionale per l’Ungheria”.

Al di là delle posizioni del governo Orbán va detto che da noi e, in generale a ovest dell’Ungheria, l’”ufficialità” ha dato una lettura parziale di questa pesante crisi inducendo, tra l’altro, reazioni per lo meno di diffidenza nei confronti di quanti provano a elaborare questa vicenda in modo critico. Alla fine, Orbán o non Orbán, il punto è che gli ucraini sono stretti in una morsa fatta di interessi geopolitici contrastanti. La pena per la loro sorte è lasciata un po’ ipocritamente a un’opinione pubblica bersagliata da messaggi unilaterali. La ricerca della ricomposizione del conflitto, per quanto difficile, è un’altra cosa.