Dopo Hamas e Fatah, tocca all’Ucraina. La Cina alza il tiro delle proprie ambizioni diplomatiche e, quando non sono ancora trascorse 24 ore dall’accordo tra 14 fazioni palestinesi a Pechino, ecco spuntare il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba. È la sua prima visita in Cina dopo il 24 febbraio 2022 e il governo la racconta come la prova della propria «neutralità» e «imparzialità» su quella guerra che ancora chiama «crisi».

Il palcoscenico è Guangzhou, la metropoli del sud da cui Deng Xiaoping diede nuovo impulso alle riforme nel post Tiananmen, aprendo l’economia socialista al mercato. Il messaggio tra le righe, anche a Kiev, è piuttosto chiaro. Al di là delle contingenze geopolitiche e di sicurezza, la Cina resta e resterà un vantaggioso partner commerciale al quale non si può rinunciare. Non a caso, incontrando Kuleba, il ministro degli Esteri Wang Yi sottolinea che la Cina ha incrementato il ruolo di primo partner commerciale con l’Ucraina, visto l’aumento dell’interscambio nella prima metà del 2024. Promettendo anche di aumentare la cooperazione su economia e agricoltura.

MEGLIO PENSARCI BENE, dunque, prima di ribaltare il tavolo come pareva aver fatto a inizio giugno Volodymyr Zelensky, quando durante un viaggio a Singapore aveva accusato per la prima volta Pechino di aiutare Mosca con il «sabotaggio» della conferenza svizzera sulla pace. Quell’attacco si è rivelato un assist per il riavvio del dialogo, favorito anche dalle crescenti incertezze sul ruolo degli Stati uniti. La visita di Kuleba è stata decisa prima dell’annuncio del ritiro di Joe Biden, ma è comunque maturata in un momento nel quale l’ipotesi di un ritorno di Donald Trump appariva già possibile. Ai dubbi sulla posizione del candidato repubblicano, si sono aggiunti i timori sulla debolezza di un presidente con una data di scadenza molto vicina e di fatto disarcionato dal suo stesso partito. Per provare a mantenere il controllo dell’avvicinamento a un potenziale processo di pace, Kiev sa che ha bisogno di parlare con Pechino, forse anche più di prima.

IERI IL COLLOQUIO è durato a lungo: tre ore, più del previsto. Wang ha provato come sempre a dipingere la Cina come equidistante tra Russia e Ucraina, quantomeno in merito al conflitto. «Anche se le condizioni e i tempi non sono ancora maturi, sosteniamo tutti gli sforzi che contribuiscono alla pace e siamo disposti a continuare a svolgere un ruolo costruttivo per un cessate il fuoco e la ripresa dei colloqui di pace». Aggiungendo che la Cina «è sempre stata fermamente impegnata a promuovere una soluzione politica». Implicitamente, significa dire due cose: non abbiamo mai mandato armi a Mosca, nonostante le accuse degli Usa sui dispositivi dual use, ed è anzi proprio Washington a fomentare la guerra continuando a inviare mezzi militari invece di favorire il dialogo.

Su media e social cinesi, viene salutata come un grande successo la frase con cui Kuleba ha definito l’Ucraina «pronta a negoziare con la Russia, quando Mosca sarà disposta a tenere colloqui in buona fede». La postilla, con cui Kuleba dice di non vedere «tale preparazione da parte russa», diventa una più sfumata richiesta a che i negoziati siano «razionali, sostanziali e mirati a raggiungere una pace giusta e duratura».

L’OBIETTIVO cinese è sfruttare la visita, che dura fino a domani, per avvicinare l’Ucraina alla propria proposta di una conferenza di pace riconosciuta anche dalla Russia e che tenga conto sia dell’integrità territoriale che delle «legittime preoccupazioni di sicurezza di tutte le parti». Qualora arrivassero segnali positivi da Zelensky e Putin, Xi Jinping potrebbe accelerare a cavallo del G20 di novembre, quando a Rio de Janeiro riceverà il totale appoggio del padrone di casa, il presidente brasiliano Lula. Sarebbe un colpo a effetto, proprio mentre gli Usa saranno alle prese con l’immediato post voto. Il simbolismo sarebbe forte, con un’America concentrata al suo interno e una Cina sempre più globale.