Viktor Orbán non sembra proprio essersi lasciato impressionare così tanto dal forte disappunto di vertici e leader dell’Ue per la sua tournée di pace per l’Ucraina. È difficile pensare che non si aspettasse queste critiche che però, a quanto pare, non hanno prodotto l’effetto di farlo desistere dai suoi proponimenti; quindi, tramite un suo portavoce ha fatto sapere che la sua missione di pace continuerà. Sempre il suo portavoce ha motivato la decisione del suo capo nel modo che segue: “Siamo gli unici in grado di negoziare con tutte le parti”. In tal modo l’interessato sembra voler dire che in questa brutta vicenda, quella della guerra in Ucraina, il governo ungherese non ha preso le parti di nessuno, solo quelle della pace e che in questa equidistanza è l’unico soggetto capace di dialogare con tutti.

Uno che non la pensa così, non il solo, naturalmente, è il presidente ucraino Volodymyr Zelensky il quale nega, tra l’altro, che Orbán sia l’unico leader europeo in grado di vantare una credibilità con la quale mediare tra Mosca e Kiev.

I giorni scorsi Zelensky si è espresso su queste missioni di pace senza però far nomi. È sembrato però chiaro il riferimento al premier ungherese e alle sue iniziative. Avrebbe detto, come riportato da Europa Today del 18 luglio scorso, “Se qualcuno in Europa cerca di risolvere i problemi alle spalle degli altri o alle spese di qualcun altro, se qualcuno vuole fare qualche viaggio nella capitale della guerra per parlare e magari promettere qualcosa contro i nostri interessi comuni o a scapito dell’Ucraina o altri Paesi, allora perché dovremmo considerare una persona del genere?”, e ancora: “L’Ue e la Nato possono affrontare tutte le loro questioni anche senza questa persona”. La capitale della guerra menzionata da Zelensky è Mosca e la persona da non considerare è evidentemente Viktor Orbán. Queste frasi sono state pronunciate dal presidente ucraino al suo arrivo nel Regno Unito per partecipare al vertice della Comunità politica europea, seguito in presenza anche dal leader di Budapest sempre più lanciato in un’iniziativa diplomatica che, come detto e scritto più volte, ha fatto andare su tutte le furie Bruxelles; il Parlamento europeo, poi, ha condannato il suo incontro con Putin a Mosca.

Lo ripetiamo, il primo ministro ungherese è quello che è e non può dirsi un campione di democrazia anche se lui e i suoi sostenitori contesterebbero quest’affermazione. D’altro canto, nel contesto della guerra russo-ucraina è tutt’altro che soddisfacente il ruolo svolto dal blocco euro-atlantico. Chi è che da quelle parti si pone davvero il problema della pace, il problema di negoziare, di restituire la parola alla politica?

Quella in corso è una crisi complessa che affonda le radici in un passato ancora più lontano di quello caratterizzato dagli eventi del 2014: guerra del Donbass, referendum per l’indipendenza della Crimea, annessione di quest’ultima da parte di Mosca e via di seguito. Per capire meglio l’origine di questo conflitto bisogna spingersi oltre, nel passato, almeno alla dissoluzione dell’URSS e, di conseguenza, all’inaugurazione di una serie di questioni rimaste irrisolte nel tempo e che con tutta probabilità nessuno ha voluto veramente risolvere. Oggi l’Ucraina è stretta nella morsa di un braccio di ferro che va oltre lo schema del conflitto in armi fra due parti e che è rappresentato dallo scontro fra Russia e Occidente euro-atlantico.

Certo, non sarà facile neppure negoziare e occorrerà una pace sostenibile; altra cosa che, soprattutto arrivati a questo punto, appare quanto mai complessa e che col passare del tempo diviene sempre più difficile. Va poi detto che è pericolosa la volontà euroatlantica di umiliare la Russia; cosa che pagheremo più di quanto non si stia facendo attualmente. Insomma, in tutta questa storia si fa veramente fatica a trovare chi abbia le mani pulite, almeno a livello di leadership e, sia ben chiaro, questo non è un messaggio populista.