Editoriale

Il «Nuovo Ordine» a cannonate

Carri armati israeliani sul confine libanese foto ApCarri armati israeliani sul confine libanese – foto Ap

Israele/Onu Se Unifil fosse costretta a ritirarsi sarebbe un grave smacco politico per il governo Meloni

Pubblicato circa un mese faEdizione del 11 ottobre 2024

«Ripetutamente e deliberatamente», denuncia il comunicato Onu, sono state colpite in Libano dalle cannonate di un merkhava, un carro armato israeliano, la sede centrale-bunker della missione Unifil e la sede del contingente italiano, con inseguimento di un drone e distruzione delle telecamere – che cosa non devono vedere?

L’episodio di guerra aperta contro l’Onu e contro il contingente italiano, si inserisce nel buio dell’avvio della risposta di guerra di Tel Aviv a Teheran dopo il raid iraniano per rispondere all’uccisione di Nasrallah, e nel pieno del massacro ininterrotto a Gaza, con anche ieri decine di civili inermi uccisi che vanno ad aggiungersi alle 42mila vittime di questo anno di sangue.

Sembra a prima vista, di fronte a tanto orrore, un evento marginale, poco drammatico visto il solo ferimento di due caschi blu indonesiani. Al contrario è un fatto gravissimo che rappresenta il livello pericoloso che Netanyahu vuole impunemente superare; non più come vendetta per l’efferato attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 ma, approfittando del momento e dell’euforia interna per le «vittorie» riportate -ma gli ostaggi da liberare che fine faranno? – , per attuare il dichiarato disegno del Nuovo Ordine in Medio Oriente. Certo il bombardamento di sedi Onu in questa guerra ormai su quattro fronti, Gaza, Cisgiordania, Libano e Iran, non è nuovo.

Le sedi dell’Unrwa, che presiede alla condizione umanitaria dei palestinesi fin dal 1948, a Gaza sono state ripetutamente e deliberatamente rase al suolo con l’uccisione di decine di operatori delle Nazioni unite; e in Libano viene alla memoria la strage di Qana del 1996 quando il territorio libanese era ancora occupato dalle forze israeliane e per rispondere alla ripresa del conflitto, Shimon Peres pensò bene di bombardare una sede Onu dove si erano rifugiati molti civili: ci furono 103 morti e un’inchiesta del Palazzo di Vetro rivelò che il governo israeliano sapeva della presenza di civili.

Stavolta però Netanyahu l’ha fatta, se possibile, ancora più grossa. Perché il messaggio è chiarissimo: nel «Nuovo Ordine» lì, nel Sud del Libano, quella funzione di interposizione e di controllo che secondo l’ultima risoluzione 1701, vietava – a hezbollah ma anche a Israele – l’uso militare di quell’area oltre la Blu Line, non deve più esserci, l’Onu in buona sostanza se ne deve andare, se resta deve stare al suo gioco: garantire una sola parte. Di più: prendere di mira il contingente italiano «deliberatamente» è un messaggio gravissimo ad un Paese che, con questo governo di destra-estrema destra, con una premier di formazione almirantiana e proprio per questo “mimeticamente” filo-israeliana, si è ripetutamene schierato con Israele perché «ha diritto a difendersi…rispettando il diritto umanitario» sono le ultime parole di Giorgia Meloni. Ma Netanyahu il «diritto umanitario» non lo ha rispettato: siamo a 42 mila morti a Gaza, centinaia in Cisgiordania, e 1.500 in Libano, per la maggiora parte tutti civili. In Libano poi è in corso l’offensiva israeliana che, per riportare in Galilea 60mila profughi ha causato un milione e 200 mila profughi in fuga dal sud del Libano perfino verso la martoriata Siria da dove molti di loro erano fuggiti. «Attenti, il sud del Libano rischia di diventare una nuova Gaza», ha decretato 48 ore fa il premier israeliano: ma il Libano è già una nuova Gaza. E dopo l’annuncio della «liberazione» agli iraniani, adesso c’è l’appello ai libanesi a ribellarsi a hezbollah, che fino a poco prima dell’uccisione di Nasrallah deliberatamente ucciso ne giorni scorsi, era una componente politica della tenuta unitaria del Paese dei Cedri, anche con ruoli di governo. Ancora altro caos nel caos, insomma una nuova guerra civile libanese dopo le troppe che ha vissuto e non è detto che qualcuno non ci stia lavorando; mentre per ora la «liberazione» di Bibi, sostenuta dalla monarchia dei Palhevi perfino corsi alla Knesset a chiederla, viene rifiutata dagli iraniani e dalle iraniane che hanno sotto gli occhi il massacro a Gaza di migliaia di donne, e la storia del loro Paese che vide i Palhevi al soldo Usa fare scempio della svolta laica e democratica di Mossadeq negli anni Cinquanta.

Ma ora l’Italia come risponde? È Crosetto, non Taiani, a convocare l’ambasciatore israeliano. Per dirgli che? Forse come ministro della difesa di provenienza Leonardo, «basta sistemi d’arma e intelligence» – come ha minacciato Macron -, o sospensione del nostro Trattato militare, e sanzioni? Quando mai. Le parole sono forti: «L’Italia e l’Onu non prendono ordini da Israele» dice Crosetto. Ma non sono ordini, sono cannonate. Se l’Unifil fosse costretta sotto i colpi dei carri armati israeliani a lasciare il campo senza una rottura dei rapporti diplomatici, in primo luogo da parte di Italia e Francia che sono stati i mallevadori della nuova Unifil, sarebbe prima di tutto uno smacco politico per questo governo a dir poco inadempiente; che non riconosce lo Stato di Palestina, che vota blandamente per il “cessate il fuoco” diventato una giaculatoria fiabesca peggio dei “due popoli due Stati”; che si astiene all’Onu, appeso alla miopia, ai silenzi e all’impotenza degli Usa che con Biden non hanno mai messo limiti alla tracotanza di Netanyahu – soccorso con 18 miliardi di armi in questo ultimo periodo – e del suo Nuovo Ordine. Per Biden l’uccisione di Nasrallah è stata una «misura di giustizia».

Un Nuovo Ordine, a ben vedere, agito sulla scia degli Accordi di Abramo voluti da Trump, che hanno cancellato di fatto la questione palestinese, come Netanyahu ha ripetutamente mostrato con le sue mappe proprio alle Nazioni unite. L’attacco all’Unifil – «potrebbe essere un crimine di guerra», sono le parole di Crosetto – conferma l’attacco a Guterres, persona non grata in Israele, e alle Nazioni unite definite «palude antisemita». La legalità internazionale in Medio Oriente, se mai c’è stata, è cancellata e Netanyahu vuole riscriverla. Altro che doppiopesismo. Come dimenticare chi è davvero Netanyahu e che cosa è lo Stato d’Israele sotto la sua guida: oltre ad essere più insicuro di prima, ora è incriminato alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja per «plausibile genicidio», e per il premier israeliano (e per Synwar di Hamas) è stato chiesto dal procuratore generale della Corte penale internazionale l’ordine d’arresto come «criminale di guerra». Può un criminale di guerra bombardare il mondo, grazie all’impunità dovuta alle protezioni Usa e occidentali, senza che nessuno riesca ad arrestarlo?

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