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«La prisonnière de Bordeaux», gioco dell’utopia al femminile

«La prisonnière de Bordeaux», gioco dell’utopia al femminileIsabelle Huppert e Hafsia Herzi in una scena del film

Cannes 77 Alla Quinzaine il film di Patricia Mazuy «La prisonnière de Bordeaux». Il rapporto fra le due protagoniste, Huppert e Herzi, sospeso tra verità e finzione

Pubblicato 6 mesi faEdizione del 23 maggio 2024

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Due donne, una prigione e il conflitto di classe: gestito con piglio deciso da Patricia Mazuy, La prisonnière de Bordeaux, proiettato nei giorni scorsi alla Quinzaine des Cineastes, è una specie di thriller mascherato da commedia sociale che diverte e appassiona per quasi due ore. Alma (Isabelle Huppert) nota per la prima volta Mina (Hafsia Herzi) nei corridoi del carcere dove i mariti di entrambe sono detenuti e vi riconosce una sfrontatezza in qualche modo familiare. Dopo averla avvicinata per strada, supera di slancio le sue resistenze e le offre ospitalità per la notte. Il contrasto tra le due è evidente, ma tra l’elegante ed eccentrica borghese e la caparbia proletaria immigrata scatta subito un’intesa, forte seppur non priva di zone d’ombra. Entrambe sono prigioniere di una condizione che le blocca nell’attesa, privandole di qualsiasi ipotesi di futuro che non passi dal tradimento. Ridere dei carcerieri, dei mariti, di se stesse, è il loro modo di affrontare la solitudine e il primo passo verso un’ipotesi di solidarietà femminile più forte del divario di classe.
Il rapporto fra le due protagoniste, Huppert e Herzi, sospeso tra verità e finzione

LA CONDIVISIONE degli spazi domestici, la presenza gioiosa e caotica dei bambini che invadono la grande casa, una cena notturna a base di uova sode sono altrettanti passaggi di piccola felicità. E però tutto questo non basta a diradare l’ambiguità: i dialoghi scritti da Mazuy con la collaborazione di Emile Deleuze sono perfetti nel sottolineare come i sentimenti si intrecciano alla convenienza e come la coabitazione produca vantaggi reciproci alle due donne. E ulteriori sospetti vengono insinuati dal magistrale gioco di ombre che Huppert imbastisce con il suo personaggio, suggerendo possibili ribaltamenti e perverse deviazioni.

L’OMBRA di una svolta alla Chabrol (che a Huppert ha offerto abbondanza di criminali ambiguità) aleggia per un po’ sul film e fa sì che, quando il rapporto tra le due donne precipita, lo spettatore si trovi a fare i conti sia con i suoi ingiusti sospetti che con la giusta ammissione che la lotta di classe si fa con i mezzi che sono a disposizione. I ricchi rimangono ricchi (e arroganti e, in una larga inquadratura che ritrae Alma circondata dai suoi amici a celebrare la imminente scarcerazione del marito, grottescamente ridicoli) e ai poveri non resta che usare le armi – legali Alla fine entrambe le donne – Mina più Alma – finiscono per obbedire agli imperativi della loro identità sociale e il film, film solidissimo e molto ben funzionante, lascia gli spettatori tra il dispiacere del sogno infranto e la tentazione al realismo un po’ cinico di chi sa come vanno le cose.

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