E ora? Grande è la confusione sotto il cielo di Spagna e nessuno può dire se questo sia un bene. Per decisione del governo di Madrid, il 21 dicembre si svolgeranno le elezioni regionali in Catalogna, ma l’incertezza politica intorno all’appuntamento è massima.

Ad oggi non è dato sapere se le forze indipendentiste parteciperanno o decideranno di non presentarsi e dunque di non riconoscere la legittimità del prossimo Parlament di Barcellona e del governo autonomo che ne risulterà.

La discussione è aperta e da quel che si può sapere entrambe le posizioni godono di sostenitori di peso: Artur Mas, il predecessore di Carles Puigdemont alla guida della Generalitat, sembra che spinga per fare regolarmente le liste, mentre gli anticapitalisti della Cup hanno già annunciato che per loro il 21 dicembre non sarà giornata di cabine elettorali, ma di «una paella popolare insubordinata».

Il primo banco di prova per la tenuta del fronte secessionista sarà stabilire una linea comune. Molto dipenderà da cosa cominceranno a dire i sondaggi.

Se l’opzione favorevole al distacco dal resto della Spagna verrà accreditata di una possibile maggioranza, le forze indipendentiste potrebbero convertire il voto di dicembre in un plebiscito da cui uscire politicamente molto rafforzati, soprattutto di fronte agli interlocutori internazionali, a partire dall’Unione europea. Sarebbe di fatto il «Sì» all’indipendenza in una sorta di referendum legale, quel che non fu il voto del primo ottobre.

L’esito opposto è altrettanto plausibile: l’eccezionalità del momento potrebbe portare alle urne persone che normalmente se ne tengono lontane e oggi sono spaventate dall’opzione separatista.

Conteranno i calcoli e le proiezioni, ma sarà determinante anche ciò che accadrà nei prossimi giorni di fronte alla possibile disobbedienza di Puigdemont e degli altri membri del destituito esecutivo catalano e del parlamento.

Gli ingredienti per un’escalation ulteriore ci sono tutti: il leader nazionalista ha già fatto sapere che si considera ancora pienamente in funzione e la procura generale ha già preannunciato l’esercizio dell’azione penale contro di lui in caso di mancato rispetto delle misure messe in atto dal governo di Mariano Rajoy su autorizzazione del Senato.

Gli ultras di ambo le parti probabilmente in questa fase sperano la stessa cosa: un Puigdemont tratto in arresto che rappresenti, per gli uni, il ristabilimento simbolico di un ordine che piaccia ai nostalgici del regime franchista, e per gli altri l’immagine di un «martire della libertà» da poter usare politicamente.

Se invece non si giungerà a questi scenari da preludio di una guerra civile e il 21 dicembre sarà «semplicemente» la più importante elezione regionale catalana dal ritorno della democrazia 40 anni fa, sarà decisiva la configurazione delle forze in campo.

Alla precedente tornata, la lista Junts pel Sì univa due partiti assai diversi come i nazionalisti di centrodestra del PDeCat di Mas e Puigdemont e l’Esquerra republicana di Oriol Junqueras.

Nei giorni precedenti alla dichiarazione d’indipendenza, non sono mancate enormi tensioni fra i due gruppi, soprattutto quando era parso che Puidgemont volesse convocare elezioni anticipate per evitare l’applicazione dell’articolo 155.

Da quel momento, la leadership dell’ex president, accusato di essere debole e indeciso, non è più così salda.

Se il cartello elettorale si manterrà, si unirà ad esso anche la Cup? Difficile, ma non impossibile. Un blocco unico renderebbe più evidente e chiaro il carattere quasi-referendario del voto.

Sul fronte anti-indipendentista, Ciudadanos si avvia a consolidarsi come la forza di maggior peso. Il partito con più problemi è Podemos, diviso fra la direzione nazionale che contrasta l’ipotesi di secessione e la federazione catalana che invece la appoggia.

Non è fantascienza immaginare che Albano Dante Fachin, il leader catalano del partito di Pablo Iglesias, finisca per passare alla Cup, mentre spetterà soprattutto al carisma e all’intelligenza della sindaca di Barcellona Ada Colau organizzare al meglio l’offerta elettorale della sinistra federalista e del dialogo. Un compito che, ad oggi, non pare facile.