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Manifesta 15, spazi urbani conflittuali

Manifesta 15, spazi urbani conflittualiDana Awartani, «Let me Mend Your Broken Bones», 2024 – © Dana Awartani

Mostra A Barcellona torna la Biennale nomade europea d'arte contemporanea, visitabile fino al 24 novembre 2024. Una rassegna contro la gentrificazione della città e dei suoi dintorni

Pubblicato un giorno faEdizione del 9 novembre 2024

Fra le opere più significative presentate da Manifesta 15, la biennale nomade europea (la prima, nel 1996, «abbracciò» Rotterdam, voluta dalla storica dell’arte olandese Hedwig Fijen – ancora ne tira le redini) che quest’anno ha scelto Barcellona e la sua regione metropolitana per espandersi a macchia d’olio c’è il film della portoghese Diana Policarpo Liquid Transfers al Monasteiro de Cugat, una delle sedi più suggestive di questa edizione frastagliata che invita a un viaggio profondo, contemplando anche la fatica fisica dello «spostamento» di chi voglia esplorare luoghi desueti, in disuso, in pericolo di sparizione, spesso abitati da una ambiguità di fondo, in bilico tra storie di disperazione, come testimonia la presenza fra le locations del carcere franchista Mataró, e agganci immaginifici a eco-convivenze possibili (a Casa Gomis non a caso l’artista Lola Lasurt racconta con materiali di archivio e album fotografici, la comunità naturalista Els Amics del Sol, formatasi nell’estate del 1915).

La Centrale termoelettrica di Sant’Andrià de Besós, sede di un «cluster» di Manifesta 15, «Imagining Futures»

Policarpo nel suo video, che è parte di un più ampio progetto, indaga le implicazioni sociali e economiche dell’impiego della Claviceps purpurea, nota come ergot, un fungo che fin dal Medioevo causava gravi intossicazioni alimentari e allucinazioni. Le sue proprietà erano utilizzate nella medicina di genere per praticare aborti, ma anche a fini bellici, nei programmi militari del secondo dopoguerra. Tramite quel parassita della segale si smascherano così le strutture del potere. Il «viaggio allucinatorio» attraversa i secoli ma presenta, sempre uguali a loro stesse, le impalcature ideologiche del dominio e del controllo.
Questa Manifesta 15 (visitabile fino al 24 novembre) s’intensifica soprattutto nei tragitti e nei transiti fra differenti livelli di realtà (e surrealtà), nel tempo impiegato per arrivare, nei pensieri che si affacciano di fronte a paesaggi boschivi, periferie scrostate, prigioni abbandonate, fabbriche dimenticate, dimore dall’anima razionalista che oppongono una strenua resistenza (appellandosi alla propria bellezza) ai progetti espansionistici che interessano l’aeroporto El Prat.

Due anni di studi e ricerche del team della Biennale nomade europea (da parte di artisti, designer, architetti, urbanisti, sociologi e collettivi, guidati dall’architetto spagnolo Sergio Pardo e dalla curatrice portoghese Filipa Oliveira) con fisso in mente un obiettivo: decentrare l’infrastruttura culturale, incorporando un’idea di collaborazione attiva tra comunità artistiche e civili nella periferia di Barcellona e nei luoghi «satellitari» alla città: la direzione auspicata da percorrere è quella di una utopica «eco-società» futuribile. Con le sue ottantacinque partecipazioni (di cui il 36 % locali), molte installazioni site specific e tre macro-aree tematiche dedicate ai conflitti, la cura e alla reinvenzione di un futuro auspicabile, Manifesta prova a sondare un’alternativa alla gentrificazione e allo sfruttamento intensivo degli spazi urbani. Lo fa, in primis, optando per spazi dalla forte valenza simbolica rilanciandoli in un tessuto «vivente». Come la ex centrale termica Tre Ciminiere, costruita negli anni ’70, sulla riva sinistra del fiume Besò, chiusa nel 2011 e da allora rimasta inattiva (definita anche la «Sagrada Familia dei lavoratori»). Oggi l’area che la circonda, pur danneggiata dall’attività industriale, è a rischio a causa della speculazione edilizia. È qui che, nonostante tutto, le popolazioni hanno sviluppato un forte senso di identità e appartenenza. Quel paesaggio industriale conserva diverse storie che si intrecciano nel suo dna: si va dalle lotte contro la «maledetta fuliggine» fino alla battaglia della Piattaforma per la Conservazione, unico argine contro i piani urbanistici che minacciano il tratto di costa di Sant Adrià. Si varca la soglia di questo non luogo abitato da fantasmi accompagnati dall’opera di Jeremy Deller, un banner segnaletico con la scritta Speak to the earth and it will tell you (parla con la terra e lei ti dirà).

Installazione di Claire Fontaine alle Tre Ciminiere

Visibili e percorribili per la prima volta, gli spazi residuali delle Tre Ciminiere ospitano una cospicua sezione della mostra: all’entrata, si è accolti dall’imponente The Frankenstein Tree di Kiluanji Kia Henda, installazione sul potere della natura di curare e guarire gli ambienti feriti da eventi catastrofici e guerre. Realizzata con legni riciclati, rami di alberi spezzati e resti di piante bruciate negli incendi che hanno colpito El Pont de Vilomara nel 2022 e nel 2023, l’opera dell’artista angolano sceglie il momento in cui il mondo selvatico si riprende i propri spazi, nonostante le devastazioni, rinascendo in modi sorprendenti.

 

 

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