Le elezioni in Irlanda del Nord ci consegnano uno scenario in larga parte atteso ma non per questo meno dirompente, con Sinn Féin primo partito nelle prime preferenze e nei seggi, e con la straordinaria ascesa del partito trasversale, Alliance. Leader del cambiamento sono due donne, Michelle O’Neill, responsabile di Sinn Féin per l’Irlanda del Nord, e Naomi Long, segretaria di Alliance, formazione liberale che è riuscita a sparigliare gli equilibri di una politica estremamente polarizzata.

Sinn Féin ottiene per la prima volta la maggioranza relativa e potrà esprimere il primo ministro. Alliance fa un balzo di più di 5 punti percentuali e quasi raddoppia i propri seggi. Grandi sconfitti i partiti unionisti: reggono nella somma totale dei voti, ma la frammentazione non paga. Tra questi, vede una crescita enorme nella percentuale delle prime preferenze, ma non in termini di seggi, il Tuv, portavoce dell’unionismo più oltranzista. Una crescita che avviene a scapito del Dup, il vero sconfitto di queste elezioni dopo quindici anni di dominio incontrastato.

LA LETTURA AL FEMMINILE dello stravolgimento elettorale appare indiscutibile. Il successo di Naomi Long, già sindaca di Belfast nel 2009, parlamentare di lungo corso sia in Irlanda che in Europa, e poi ministra della giustizia a partire dal 2020, è un fenomeno riconducibile alla sua capacità di vedere oltre i settarismi. Dalla fondazione dell’Alliance Party, ha sempre spinto per il superamento di una retorica tradizionale di contrapposizione tra repubblicani e unionisti, puntando a superare l’ibridismo economico e politico nordirlandese dato dal fatto di trovarsi a cavallo tra la Repubblica d’Irlanda e il Regno Unito. Raccoglie ora i frutti di una intuizione in grado di scardinare un sistema binario, colpevole di aver sempre più marginalizzato l’Irlanda del Nord relegandone i destini a un dibattito costituzionale.

IL SUCCESSO di Michelle O’Neill è assai meno scontato. È stata coraggiosamente in grado di spostare l’asse della discussione dai temi tradizionali e tradizionalmente divisivi, come la questione costituzionale, a prospettive più vicine ai bisogni primari della popolazione: la disoccupazione, le case popolari, i diritti delle donne, e il riconoscimento dell’identità linguistica irlandese.

La sua ascesa è anche legata al fatto che, sebbene troppo giovane per aver assistito alle fasi caldissime del conflitto (aveva appena 4 anni alla morte di Bobby Sands, ora ne ha 45), possiede un pedigree repubblicano incontestabile. Figlia di un prigioniero politico dell’Ira e nipote di uno dei capi dell’associazione che raccoglieva fondi in America a favore dell’organizzazione, ha avuto due cugini uccisi dalle forze britanniche, ed è stata scelta nel suo ruolo nientemeno che da Martin McGuinness, storico leader dell’Ira e vice primo ministro fino alle dimissioni nel 2017. O’Neill, assieme a Gerry Adams, portò a spalla la bara di McGuinness nel funerale a Derry nel marzo del 2017.

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Il tentativo di modificare l’agenda del dibattito nel Nord è un successo sia di Long che di O’Neill. La prima ha saputo creare un partito in grado di accogliere trasversalmente un elettorato stanco delle vecchie divisioni; la seconda è riuscita in pochi anni, e senza rinnegare nulla, a far percepire Sinn Féin per quello che oggi è: un partito della sinistra progressista, nato dalle lotte e dalla resistenza degli anni del conflitto in cui aspirava alla creazione di una repubblica socialista. Oggi è in grado di far comprendere come quelle stesse lotte possano tradursi nel tentativo di cambiare profondamente la società, guardando realisticamente ai bisogni primari dei cittadini alla luce di un egalitarismo irrinunciabile.

LA PARTITA che si appresta a giocare O’Neill si annuncia complicata. La legislazione figlia degli accordi di pace del 1998 prevede infatti che il ruolo di primo ministro spetti al partito risultato vincitore alle elezioni in termini di seggi, mentre quello di vice primo ministro (di fatto le due cariche hanno gli stessi poteri) dovrebbe andare al secondo partito.

Tuttavia, i vertici del Dup hanno in tempi non sospetti messo le mani avanti, subodorando una vittoria di Sinn Féin che era nell’aria. Contrari al protocollo d’intesa tra Ue e Uk, secondo cui l’isola tutta è rimasta all’interno del mercato europeo, prevedendo, dopo la Brexit, un confine doganale tra Irlanda e Inghilterra, hanno ripetutamente dichiarato di essere indisponibili a formare un esecutivo misto se prima non si metterà mano al controverso protocollo.

Tuttavia, di fronte alla vittoria chiara di Sinn Féin, e all’ancor più significativa avanzata del partito trasversale guidato da Long, le posizioni predeterminate degli unionisti dovranno fare i conti con una maggioranza parlamentare che invece il Protocollo lo accetta eccome, e che per ora non ha intenzione di rivederlo.