I relitti spettrali di Dominique White
Cristalli liquidi «Deadweight» dell’artista britannica e afro-caraibica Dominique White
Cristalli liquidi «Deadweight» dell’artista britannica e afro-caraibica Dominique White
Legname, ferro forgiato, carbone polverizzato, fil di ferro, sisal, rafia, caolino, vele danneggiate, cordoni consumati: sono questi i materiali delle sculture. Un contrasto tra materiali solidi e dotati di una genealogia scultorea (legno e ferro) e altri come le reti da pesca che all’artista ricordano dei capelli, richiedenti la stessa attenzione per la loro delicatezza. Una scena da naufragio, con relitti di materiali nautici abbandonati: così si presenta Deadweight dell’artista britannica e afro-caraibica Dominique White (1993) alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia (fino al 16 febbraio 2025). Diplomata in scuole londinesi quali Goldsmiths e Central Saint Martins, vincitrice della nona edizione del Max Mara Art Prize for Women, nata nella contea di Essex ma residente anche a Marsiglia, al centro del Mediterraneo, White è attratta dalla nozione di deadweight o carico massimo di una nave, consapevole dei suoi echi storici come il massacro della Zong. Un episodio tragico dell’imperialismo britannico risalente al 1781, quando una nave negriera getta in mare 142 schiavi africani per mancanza d’acqua potabile. Per White l’oceano non indica solo l’ecosistema marino ma anche la piattaforma fluida di un passato traumatico, di un capitalismo che si sviluppa assieme alla costruzione della razza e alla tratta degli schiavi africani.
Deadweight è installata in una sala che, con le luci basse, ricorda lo scafo di una nave o, con più fantasia, gli abissi marini. A White piace immergere le proprie sculture nel Mediterraneo e costatare che materiali come il ferro non trattato si ossidano, si arrugginiscono e mutano col tempo. Sono, per suo espresso volere, opere in decadimento, che danno l’impressione di sgretolarsi e cadere a pezzi, dalla forma non fissata una volta per tutte in una circostanza storica. Più che sculture le considera come corpi o entità viventi immerse nel divenire.
Difficili da isolare, le sculture di Deadweight fanno parte dello stesso corpus. Sono il frutto, se non il precipitato, di una residenza in Italia in cinque tappe in cui emerge la sua fascinazione per le tecniche tradizionali di lavorare la materia. Alla Fonderia di Campane Marinelli ad Agnone è attratta non solo dalla potenzialità del materiale ma anche dalle tracce lasciate da eventi naturali e bellici sulle campane di bronzo, il metallo più diffuso in Europa, onnipresente nei nostri monumenti. A Palazzo Butera a Palermo, assieme alla storica Giovanna Fiume, studia la storia della schiavitù mediterranea e le rotte delle navi negriere attraverso le mappe e le tecnologie di navigazione. Di Palermo White apprezza la quiete e l’energia caotica, due qualità infuse nelle sue sculture.
La tappa genovese le permette di approfondire la costruzione delle navi e la storia della pirateria al Galata Museo del Mare, al Complesso monumentale della lanterna e al MuMa (Musei del Mare e delle Migrazioni). A Todi apprende a lavorare col fuoco e a piegare se non a distruggere la superficie di un metallo (White pensa il suo atelier come la scena di un crimine). Alla Fonderia Artistica Battaglia di Milano, infine, si concentra sul bronzo, un materiale che non utilizza però nelle sue installazioni a causa della sua resistenza anche quando immerso nell’acqua, ma anche di una consapevolezza più profonda: il fatto che sulla superficie dei materiali s’incrostano per secoli le vicende umane. Per dirlo con la poetessa e militante nera Audre Lodre, ben presente a White, non è con gli attrezzi del padrone che si smantellerà la casa del padrone. Per questo nelle sue sculture è questione di materiali fragili, volatili e a volte brutali – Deadweight mette così in immagine una «idrologia spettrale» (Geo Rutherford).
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