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Quell’imitabile «modello inglese» nel pallone

Quell’imitabile «modello inglese» nel pallone

Tra sport e politica Il «modello inglese» che dà il titolo al libro di Stefano Faccendini, edito da Ultra Sport, non è quello strombazzato della Premier League, prodotto vincente ed esportata in ogni dove del globo terracqueo. Né quello «forgiato» da leggi draconiane e da tanta repressione promosso da Margaret Thatcher ai tempi del proliferare della piaga dell’hooliganismo. Il modello è quello di solidarietà organizzato dai tifosi

Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 2 novembre 2024

Il «modello inglese» che dà il titolo all’ottimo libro di Stefano Faccendini, edito da Ultra Sport, non è quello strombazzato della Premier prodotto vincente ed esportata in ogni dove del globo terracqueo. Né quello «forgiato» da leggi draconiane e da tanta repressione promosso da Margaret Thatcher ai tempi del proliferare della piaga dell’hooliganismo. Niente di tutto ciò: è un paradigma nutrito dalla solidarietà dei tifosi, dal loro attaccamento alla squadra che trova davvero un senso compiuto perché strumento per fare del bene ai più bisognosi della comunità. È anche coinvolgimento attivo dei club, quelli che ancora non ragionano solo con i parametri del profitto, o di calciatori che non possono scordare il loro passato segnato dall’indigenza. Nei lunghi anni di governo conservatore la disgregazione dello stato sociale ha raggiunto il suo infausto zenit, poi l’epidemia di covid-19 e i suoi strascichi hanno inferto un colpo terribile a milioni di persone in tutto il Paese, in particolare dalle Midlands in su. Ci sono infinite statistiche che certificano questo dramma.

Tra le tante, Faccendini si sofferma sulle oltre due milioni di persone che devono ricorrere alle food bank, le banche del cibo, perché altrimenti non mangerebbero nemmeno un pasto al giorno. Per fortuna ci sono i tifosi che si prodigano per fare raccolte che hanno fatto davvero la differenza, aiutando gli strati più deboli della società. A volte anche andando oltre la rivalità calcistica, come accaduto con i supporter di Liverpool ed Everton.

L’autore racconta anche come una delle principali economie del Pianeta debba dire grazie a un ragazzo dalle umili origini, nato e cresciuto a Manchester, senza il quale durante i mesi del covid-19 tanti bambini si sarebbero trovati senza cibo perché il servizio mensa delle scuole era stato cancellato. Così Marcus Rashford, che di beneficenza già ne faceva tanta, ha iniziato una campagna talmente efficace che il governo ha dovuto rivedere la sua posizione. Non a caso Rashford è diventato un simbolo per i più giovani e non solo per le sue doti su un campo di football.

Il disagio sociale che avvolge il Paese si sfoga in sanguinose guerre tra bande. Per uscire da questa spirale perversa c’è chi, dopo un passato burrascoso, ha pensato di creare club per togliere i ragazzi dalle strade, con tutte le difficoltà che un’esperienza del genere può comportare. Ma pure questa è una storia di successo, al pari della proprietà del Grimsby che decide di rispolverare il vecchio principio del secolo scorso che voleva che l’imprenditore alla guida di un club avesse una sorta di dovere morale di dare indietro qualcosa alla comunità, concetto ormai stravolto dagli alti papaveri della Premier, alla disperata ricerca di contratti miliardari e senza troppa considerazione per il tifoso-cliente.

Queste e altre storie sono narrate in undici capitoli che si leggono in un batter d’occhi e che in filigrana raffigurano un impietoso quanto fin troppo realistico ritratto a tinte fosche dell’Inghilterra post-brexit.

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