Carol Ann Duffy, congedato il lirismo, l’eros resiste
Poeti in lingua inglese La scozzese Carol Ann Duffy ha raccolto in una auto-antologia le sue «Poesie d’amore», scritte tra il 1985 e il 2018: da Crocetti
Poeti in lingua inglese La scozzese Carol Ann Duffy ha raccolto in una auto-antologia le sue «Poesie d’amore», scritte tra il 1985 e il 2018: da Crocetti
Genere letterario difficile e rischioso da praticare, la poesia d’amore trova da anni una raffinata interprete nella scozzese Carol Ann Duffy: la sua intera opera ne è infatti attraversata, senza che perciò i versi vengano appesantiti da cliché e sentimentalismi.
Nel 2023, con Love Duffy ha composto una antologia in trentatré liriche, tratte dalla sua ampia produzione dedicata, fra il 1985 e il 2018, al tema dell’amore, con l’aggiunta di un inedito a chiusura del libro. Lo pubblica adesso Crocetti con il titolo Poesie d’amore (pp. 101, € 14,00), a cura di Floriana Marinzuli e Bernardino Nera, i quali, insieme a Giorgia Sensi e Andrea Sirotti (traduttori già nel 2002 di una delle sillogi più avvincenti di Duffy, La moglie del mondo) si adoperano a nel diffondere in Italia l’opera di questa popolare poetessa britannica contemporanea, prima donna – cattolica e apertamene gay – a essere nominata, nel 2009, Poet Laureate del Regno Unito.
Per questa sottile artigiana della parola l’uso della lingua è un tema poetico almeno quanto l’oggetto dei versi: e non solo perché la lingua è lo strumento da aggiornare e rivitalizzare continuamente per non scadere in vieti luoghi comuni; ma anche perché nell’interrogare e riconfigurare, con ironia, sarcasmo e una certa dose di disincanto, la lingua del discorso amoroso ereditata dalla tradizione, Duffy mette in scena piccole trame intime ricorrendo alla forma caratteristica della sua scrittura, il monologo drammatico, allo scopo di far scorrere sotto i nostri occhi istantanee della dialettica amata-amante.
Tra gli intenti c’è poi anche quello di tentare, «almeno a parole», come recita un suo verso, di dire ciò che si prova quando si ama, intonando, per esempio, «un impossibile canto di desiderio» per la compagna assente.
I monologhi amorosi, dotati di una intensa valenza erotica, sono anche un compendio di brillanti metafore e stratagemmi linguistici, con i quali la poetessa scozzese va via via componendo liriche sentimentali in assenza di lirismo: «Nella teoria del multiverso/ della fisica/ ci siamo sposate», si legge a proposito di un amore irrealizzato. «Nella buona e cattiva sorte, /siamo in ogni dove, altrove; /non qui, dove me ne sto, da sola, libera come una zitella,/ a piedi nudi sull’erba umida, /scolandomi uno spritz».
Tensione della lingua
La separazione, il disamore, la nostalgia tramano questi testi. Quando c’è una perdita, supplisce l’immaginazione, che proietta in spazi reali il desiderio, i sentimenti e i ricordi: così in «Assenza» dove il corpo lontano dell’amante si reincarna in una serie di metafore suggerite dall’ambiente in cui si trova chi racconta: gli uccelli ne «imbastiscono» il nome, il prato è la sua pelle, una nube la sua mano, il sole sul viso la sua bocca, una ciliegia che cade sull’erba il suo bacio, e così via.
La tensione della lingua che si protende verso l’altro da sé per tradurre in parole la fisicità dell’amore e dell’amplesso sessuale spinge Duffy a ricercare virtuosismi formali, giocando con rime, assonanze e diversi livelli semantici, per accorciare la distanza fra espressione poetica e verità emotiva.
Nell’antologia trova posto anche la lirica più ufficiale, ovvero «Anelli», scritta in occasione del matrimonio del principe William nel 2011. Il titolo inglese, «Rings», è ripetuto ben ventitre volte nel testo originale, a esplorare i significati che la parola può assumere in contesti diversi, ancorando via via il motivo amoroso a uno sfondo reale: un notturno, il rintocco di campane, una barca, uccelli, danze.
Sature di oggetti e di luoghi, le poesie di questa «trobadora» postmoderna, che canta in solitudine i suoi lai all’amante assente, suonano – tra le righe di «Eco», versione del mito di Narciso, così: «Credo che stessi cercando tesori o pietre/ nella più limpida delle pozze dove il tuo volto era riflesso, incantevole, non proprio lì quando mi voltai / e vidi l’aria che si svuotava».
Trecce di echi classici
Nel suo discorrere d’amore, Duffy richiama la tradizione che da Saffo a Catullo arriva fino agli autori britannici più amati. «CXVI» è, per esempio, un omaggio al sonetto di Shakespeare indicato nel titolo, benché in questa versione le menti della coppia siano distanti, «terra cupa, luna fredda». E dal momento che si fa risalire l’origine della festa di San Valentino a una poesia di Chaucer, Duffy dedica all’autore «delle prime parole inglesi in versi» una lirica scritta secondo la grafia dell’inglese medievale: «The lyf so short, the craft so long to lerne…/ But be my valentine»(«La vita è così breve, l’arte così lunga da imparare / ma sii la mia Valentina»).
Duffy suggerisce a più riprese che scrivere poesia d’amore è cosa ardua e al tempo stesso necessaria, essendo il tema imprescindibile, nell’arte come nella vita: per la poetessa scozzese, tuttavia, l’appagamento del desiderio rimarrà sempre incompleto, sfuggente.
L’antologia appena uscita da Crocetti è dunque la traccia linguistica e intellettuale di queste meditazioni, che infiltrano la materia poetica, fino a diventare tutt’uno con essa: «Sì, penso che una poesia sia una sorta di incantesimo/ che tiene vive le cose in un verso scritto,/ tutto quel che è perso o da lasciare – rime incatenate –/ così scrivo e scrivo e scrivo il tuo nome».
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