Sir Pelham Grenville Wodehouse
Sir Pelham Grenville Wodehouse (1881 - 1975) nel 1933 – Sasha/Hulton Archive/Getty Images
Alias Domenica

P.G. Wodehouse, maggiordomo e padroncino contro i tranelli del linguaggio

Umoristi inglesi Incomprensioni, narcisistiche pretese, stucchevoli metafore, e una sterminata conversazione... La Sellerio ritraduce i romanzi della serie di Jeeves e Bertie, il primo è «Alla buon’ora, Jeeves!» (1934)
Pubblicato circa 5 ore faEdizione del 17 novembre 2024

«Le hai fatto il solletico alle caviglie!”. “In mero spirito cuginesco”» – così si difende Bertram «Bertie» Wooster, l’irreprensibile protagonista di Alla buon’ora, Jeeves! del grande umorista P.G. Wodehouse. Siamo a metà degli anni trenta del Novecento nell’Inghilterra percorsa da fermenti sociali e alla fine del decennio sarà coinvolta nella seconda guerra mondiale. Wodehouse reagisce a modo suo, denunciando un conflitto in apparenza solo linguistico tra l’autorevole maggiordomo Jeeves, perfetto nelle sue citazioni francesi o latine, e il suo distratto ma impavido padroncino Bertie. I due sono in missione per salvare le coppie di fidanzati – e se stessi – dai tranelli del linguaggio: incomprensioni, narcisistiche pretese, romantiche stucchevoli metafore, pose, bugie necessarie a far funzionare le cose tra il parentado, gli amici del college, la piccola ma orgogliosa comunità rurale che organizza premi culturali. Ancora l’Inghilterra georgiana.

Nella collana «La memoria» di Sellerio uscirà l’intera serie dei romanzi della inimitabile coppia Bertie-Jeeves, a cominciare dal primo, Alla buon’ora, Jeeves!, inventiva traduzione di Beatrice Masini e sua raffinata introduzione «Invito a merenda con tritoni» (pp . 386, euro 16,00). Il romanzo inglese del Settecento aveva operato la sostituzione della descrizione con la conversazione: «disordine nelle associazioni di idee, un intrigo di processi mentali che si vedono a tutti i livelli, scomparso totalmente il fatto, l’evento, anche i valori entrano in un dolce crepuscolo intellettuale, non sai più se emozioni, o capricci, o hobbies; e al posto del racconto abbiamo una sterminata sommessa conversazione» (G. Manganelli).

Il famoso zio Toby raccontava le sue avventure guerriere agli amici, ossessionandoli con la sua mania. Il linguaggio esorbitante, eccessivo, era generato da un cervello incontrollabile, situato in un corpo che operava in maniera meccanica e quindi inarrestabile. Il nostro Wodehouse tenne anche presente la struttura del dialogo di Conan Doyle, la serie vittoriana di Sherlock Holmes (1801), modello perfetto, rituale, di un confronto tra due oppositori ben calibrati. I suoi dialoganti, Bertie e Jeeves, si dedicano a comprendere e raddrizzare gli errori comportamentali tra le due coppie innamorate, dai soprannomi ancora infantili. Mr Fink-Nottle (Gussie) si dedica all’allevamento dei simpatici tritoni, ma non riesce a fare la sua dichiarazione d’amore a Miss Madeline Bassett (la Bassotta), quasi una Lady Chatterley, e Angela, l’intrepida cugina di Bertie, una Molly joyciana, è in crisi con il sarcastico fidanzato Augustus Glossop (Tuppy), troppo grasso. Quindi non si parla di sesso ma di sentimenti. Bertie e Jeeves vorrebbero aiutarli a ritrovare la giusta comprensione e ritornare alla loro pacifica esistenza. Il dialogo tra i due avvocati, d’opinione sempre diversa, si declina secondo due possibilità: il cervellotico progetto di conciliazione che Bertie ha faticosamente elaborato e che poi si rivelerà complicato e impossibile, mentre a risultare efficaci saranno le fantasiose controproposte dell’astuto Jeeves. Bertie è geloso del prestigio del maggiordomo, che freddamente lo sfida mentre gli infila un calzino e il giovane ereditiero cita disordinatamente la Bibbia, Shakespeare, Austen…

Il conflitto non è nuovo, anzi esplicito è il significato sociale che il linguaggio veicola. La sua palese pericolosità è denunciata dall’aristocratico Dorimant, l’uomo alla moda, che vieta al calzolaio di usare il suo stesso linguaggio, anche se gli concede di imitare le sue pratiche libertine (Wycherley, 1676). Wodehouse conosceva questa antica querelle, e seccamente ribadisce alle ingenuità del borghese individualista Bertie, in una società ormai di individualismo di massa. A parlare è Bertie:«Il mio piano si fonda sulla natura umana. – Davvero, signore? – È semplice, si radica sulla psicologia dell’individuo. – Davvero, signore? – Jeeves, ho detto, smettila di ripetere davvero, signore». Ma lo scontro sulla giacca bianca, comprata a Cannes, si rivela duro. «Nessuno rispetta l’intelletto di Jeeves più di me, ma questa sua inclinazione a ribellarsi alla mano che lo nutre doveva essere controllata. Quella giacca era molto vicina al mio cuore, e avevo tutte le intenzioni di combattere una battaglia per lei con la stessa energia del Sieur de Wooster sul campo di Agincourt». Si annuncia una straordinaria sorpresa con «Un biglietto per lei, signore» ripetuto ben otto volte. La Bassotta si offre in moglie a Bertie, equivocando sulla loro situazione.

Complesso, quasi tragico, il colloquio fra i due non promessi sposi. Lei inizia con un Ehm e lui risponde con un altro Ehm allo stesso tempo e la coppia di Ehm si «scontra a mezz’aria». «Aveva spazzolato il salmone, e ha posato il piatto. – Macedonia? – No, grazie. – Un pezzetto di torta? – No, grazie. – Una di quelle tartine collose? – No, grazie». La parodia del loro mancato pranzo di nozze va avanti fino alla conclusione in cui Bertie rifiuta fermamente la generosa offerta matrimoniale della Bassotta che in realtà è sempre innamorata del suo Gussie. Un’immagine colta compare e ammanta di romanticismo il loro accordo: «Hai una splendida anima cavalleresca, dice lei. – Nemmeno un po’. – Sì invece, mi ricordi Cyrano. – Chi? – Cyrano de Bergerac – Il tizio col naso? – Sì». Messo a terra il loro progetto, l’autore può rivolgersi a cose più serie, ad esempio alla nuova bomba in preparazione. «L’altro giorno leggevo sul giornale di quei sapientoni che stanno cercando di fondere l’atomo e il nocciolo è che non hanno la più pallida idea di ciò che succederà se ci riescono. Magari va tutto bene. Oppure potrebbe non andare tutto bene. E un tizio si sentirebbe uno stupido se, una volta diviso l’atomo, scoprisse di colpo che la sua casa va in fumo e lui stesso esploderà in mille pezzi».

Con gli antichi strumenti del comico, Wodehouse ci protegge e consola. E chiude con la superba affermazione del protagonista, sconfitto dall’invincibile Jeeves: «Noi Wooster sappiamo stringere i denti. Ho annuito scontroso e ho infilzato un altro boccone di omelette. – Alla buon’ora, Jeeves! – Molto bene, signore».

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