Andrew O’Hagan, il culto del denaro in riva al Tamigi
Scrittori scozzesi Sulle orme di Dickens, «Caledonian Road» intreccia la vena finzionale alla documentata osservazione della Londra di oggi, fra discrepanze sociali, arrivismo, solitudine: da Bompiani
Scrittori scozzesi Sulle orme di Dickens, «Caledonian Road» intreccia la vena finzionale alla documentata osservazione della Londra di oggi, fra discrepanze sociali, arrivismo, solitudine: da Bompiani
Se dall’esordio del 1999, Ai nostri padri, che ripercorre attraverso tre generazioni la storia di una famiglia di immigrati irlandesi nella regione scozzese dello Ayrshire, fino al più recente Effimeri, romanzo che spazia senza forzature dagli entusiasmi smisurati dell’adolescenza al diritto adulto a una fine dignitosa, lo scrittore scozzese Andrew O’Hagan ha sempre privilegiato una narrativa intimista, traversata da elementi autobiografici e capace di una forte empatia, nel suo ultimo romanzo, Caledonian Road (traduzione di Marco Drago, Bompiani, pp. 608, € 22,00), sembra invece distaccarsi dalla nostalgia e dal coinvolgimento emotivo per costruire una sorta di epica contemporanea in prosa, un monumentale state of the nation novel, vivace e travolgente, in cui la società britannica odierna è impietosamente notomizzata.
Ambientato in una Londra inospitale, insicura, dove nella stessa strada – la Caledonian Road del titolo, che si estende, grosso modo, dalla stazione di King’s Cross alla prigione di Pentonville – si possono incontrare eleganti magioni georgiane e squallide case popolari, ristoranti alla moda e magazzini fatiscenti, il romanzo intreccia i casi di ben cinquantanove personaggi (l’elenco è fornito, con tanto di età e occupazione, ad apertura di volume).
Al centro della vicenda, che si snoda nell’arco di quattro stagioni, dalla primavera del 2021 a quella del 2022, lo storico dell’arte, Campbell Flynn, accademico di successo e opinionista televisivo, amante del lusso e della vita mondana: di origine proletaria, trapiantato nella capitale dalla natia Glasgow, Flynn è il tipico maschio fragile, presente in tutti i romanzi di O’Hagan.
Sposato a una psicoterapeuta di ottima famiglia, padre di un notissimo dj, fratello di una parlamentare laburista, cognato di un Duca di antico lignaggio e amico intimo di un ricchissimo imprenditore, Campbell vive le sue umili origini con malcelata vergogna, al punto di affannarsi in improduttive ricerche online sui propri possibili antenati. Ha, non a caso, al suo attivo un unico successo, la biografia di Vermeer, autore sulla cui vita non si sa quasi nulla, e il saggio muove dal tentativo di immaginare l’esistenza del pittore a partire dai suoi quadri.
Quello di Flynn è dunque un libro che rimanda al vuoto intorno al quale sente di avere costruito la propria fisionomia intellettuale e non solo. Ossessionato dal denaro che gli occorre per saldare gli ingenti debiti contratti, Flynn scrive dunque un manuale di self help per maschi in crisi, Perché gli uomini piangono in macchina, e si accorda poi per farlo pubblicare a nome di un attore di successo, che fraintendendone il significato lo presenterà come un testo a favore del patriarcato e della supremazia maschile. Ne segue un enorme scandalo, il libro viene ritirato dalla circolazione, e per Campbell Flynn ha inizio una caduta che si rivelerà rovinosa.
Trattandosi di un romanzo che si propone di offrire un’immagine il più veritiera possibile della vita odierna in una grande metropoli, il denaro è credibilmente il filo conduttore che unisce le storie dei vari personaggi e le interseca con quella di Flynn. Così, mentre l’amico imprenditore finisce malamente per aver lucrato sul traffico di umani e rubato dal fondo pensione dei suoi dipendenti, il Duca trae enormi vantaggi dalla frequentazione di un oligarca russo e del di lui figlio debosciato, arricchito con il commercio di falsi artistici e la droga, trasportata in tutto il paese dai camion di un polacco malavitoso che, a sua volta, «importa» manodopera clandestina da impiegare illegalmente nelle fabbriche delle Midlands.
Più prossima a lui, l’anziana inquilina che abita nel suo sotterraneo e gli rende la vita impossibile gli chiede una ingente somma per lasciare l’alloggio, mentre Milo, il suo studente preferito, specula con successo in bitcoin e introduce il professore ai segreti del dark web. Gli investimenti in criptomonete accelerano irreversibilmente la rovina di Flynn, e tuttavia – in un panorama di corruzione, criminalità e, nella migliore delle ipotesi, ambizione narcisista – Milo è l’unico personaggio dotato di qualità positive.
Per vendicare la morte della madre – una insegnante elementare etiope – vittima della pessima gestione dell’epidemia di Covid da parte del governo britannico (le pagine sui suoi ultimi giorni sono tra le più strazianti – e al contempo polemiche – del romanzo), Milo, abilissimo hacker, si trasforma in una sorta di Robin Hood informatico che, penetrando nei computer e nei telefoni dei più abbienti ne smaschera le malefatte, e soprattutto dirotta cospicue somme dai loro conti correnti a organizzazioni benefiche.
Mentre nella narrativa di O’Hagan ritornano costantemente i temi della vulnerabilità maschile e dell’insicurezza (sottolineato in Caledonian Road fin dall’epigrafe rubata a Stevenson, in cui l’esistenza umana è paragonata a un cammino su una lastra di ghiaccio che si assottiglia sempre di più), le pagine sulle imprese informatiche di Milo derivano dall’esperienza giornalistica di O’Hagan, che è stato ghostwriter di Julian Assange e, per il suo lavoro La vita segreta. Tre storie dell’era digitale, ha compiuto profonde ricerche nel mondo degli hacker, delle critpovalute e del dark web.
Frutto di dieci anni di indagini e di incontri, Caledonian Road pesca in ricerche effettuate nelle fabbriche di abbigliamento, tra le operaie vietnamite e bengalesi, nelle comunità di immigrati, nei pub dei sobborghi, frequentati dai membri delle gang e dai rapper, negli esclusivi circoli dei baronetti e dei parlamentari, nei night club degli oligarchi, nei campi da polo dove si raduna l’alta aristocrazia, alle sfilate di moda e nelle aule di tribunale.
Sulle orme di Dickens, O’Hagan intreccia la sua vena finzionale a una documentata osservazione della realtà, e la struttura e i modi del suo romanzo sono quelli del tipico romanzo vittoriano in cui i casi di personaggi di ogni ceto si connettono a comporre un affresco della società dove il bene e il male, il riso e il pianto si affiancano e poi si mescolano, senza soluzione di continuità.
In quanto strada dove abitano tutte le classi e molteplici etnie, Caledonian Road svolge la stessa funzione del Tamigi nell’ultimo romanzo compiuto di Dickens, Il nostro comune amico, funzionando da crocevia che collega personaggi provenienti da mondi dissimili quando non antitetici. E se, come il personaggio di Milo nel romanzo, si sovrappone una mappa vittoriana della povertà a un’altra analoga che registra il disagio dei giorni nostri, si scopre come lungo Caledonian Road i contorni che delimitano le zone di ricchezza separandole da quelle dell’indigenza combaciano ancora esattamente con quelle del XIX secolo.
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