Irlanda del Nord, il protocollo della discordia
Post-Brexit Il documento Ue sulla revisione del commercio doganale tra i due paesi non piace a Londra: proposte insufficienti
Post-Brexit Il documento Ue sulla revisione del commercio doganale tra i due paesi non piace a Londra: proposte insufficienti
Meno controlli sui generi alimentari, e soprattutto le medicine che passano dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. È l’anticipazione dai quattro documenti sulla revisione del commercio doganale tra i due paesi che saranno pubblicati dall’Ue, fatta ieri dal ministro degli esteri irlandese Coveney. Così Bruxelles replica al gioco al rialzo di Londra sulla spinosa questione del protocollo nordirlandese, l’accordo post-Brexit fra l’Unione europea e il suo ex-membro entrato in vigore all’inizio dell’anno e causa di diffuso malcontento fra gli unionisti nordirlandesi, che lo vedono come l’introduzione di un inaccettabile confine con il Regno Unito.
Un modo per rilassare le norme vigenti senza alterare l’essenza dell’accordo, dopo che martedì il capo negoziatore britannico David Frost aveva invitato la controparte a una riscrittura pressoché totale del documento, che per di più estromettesse la giurisdizione della Corte di giustizia dell’Ue da Belfast, qualcosa che Bruxelles reputa a sua volta irricevibile.
Approvato nel 2020 come parte del Withdrawal agreement (che andava a rimpiazzare il tanto contestato Irish backstop negoziato nel 2018 con l’allora premier Theresa May), scopo ultimo del protocollo era evitare un confine fisico fra l’“europea” repubblica di Irlanda e la britannica Irlanda del Nord che riattizzasse la guerra civile nella regione. Per questo prevedeva che, post-Brexit, l’Irlanda del Nord, pur non facendo più parte dell’Ue, rimanesse nell’unione doganale e nel mercato unico europei quanto alle merci, e che i controlli doganali – con cui proteggere il mercato unico impedendovi il passaggio indiscriminato di merci britanniche – avvenissero al confine fra l’Irlanda del Nord e la Gran Bretagna stessa: qualcosa però di altrettanto indigeribile alla destra brexittiera più “sovranista” ma che nel 2019 Boris Johnson avrebbe accettato frettolosamente pur di assicurarsi l’en plein di Brexit e vittoria elettorale, ben sapendo che i nodi al pettine sarebbero venuti poi.
Ed eccoli i nodi, puntuali. Ambo le parti hanno la possibilità di uscire unilateralmente dall’accordo per motivi emergenziali, ma è lecito dubitare che le prossime settimane di intense negoziazioni (si pensa a metà novembre per un eventuale accordo) scongiurino quest’eventualità. Laddove Londra uscisse sbattendo la porta, l’Ue potrebbe applicare dazi alle importazioni britanniche portando l’escalation di una guerra commerciale. Il continuo gioco al rialzo di Frost è politicamente proficuo ai Tories, che possono così dimostrare di voler difendere l’Unione (anche se non esattamente coerente con il loro atteggiamento nei confronti della Scozia).
L’atmosfera resta rancorosa. Il vice primo ministro irlandese Varadkar ha ammonito i partner commerciali della Gran Bretagna come aventi a che fare con un paese che «non mantiene necessariamente» la parola, mentre i rapporti con la Francia sono ai già minimi storici fra diatribe pescherecce e i disperati passaggi dei migranti nella Manica.
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