Tra tutte le attività di greenwashing, probabilmente è quella più in grande stile: l’iniziativa lanciata ieri dal presidente della Cop 28 Sultan Al Jaber con il pomposo nome di Oil and Gas Decarbonization Charter. Si tratta dell’impegno assunto dai 50 maggiori produttori di petrolio – fra i quali Exxon e Aramco – per azzerare le emissioni derivanti dalle loro attività operative entro il 2050 (le cosiddette emissioni scope 1 e 2).

I 50 COLOSSI – che insieme rappresentano il 40% della produzione petrolifera globale – non intendono affatto tagliare la produzione di petrolio e gas, ma sono disposti a ridurre “quasi a zero” le emissioni di metano entro il 2030 e a smettere entro quella data di bruciare in atmosfera il gas naturale estratto insieme al petrolio (gas flaring). Obiettivi, questi, ovviamente non vincolanti (ma solo monitorati da un soggetto indipendente).

Fuori dal marketing, però, la corsa al petrolio procede indisturbata, come indica, tra molto altro, la disputa sempre più aspra per il controllo dell’Esequibo, la vasta regione, più grande dell’Inghilterra, governata dalla Guyana e rivendicata dal Venezuela. La contesa, è vero, va avanti dal 1841, ma è soprattutto dal 2015 che il governo di Nicolás Maduro ha alzato progressivamente la sua voce in difesa di un territorio che, al momento dell’indipendenza dalla Spagna, era parte integrante della nascente repubblica: da quando, cioè, sono stati scoperti enormi giacimenti di petrolio nelle aree costiere contese e il colosso statunitense ExxonMobil – proprio uno dei firmatari dell’accordo voluto da Al Jaber – si è fiondato sull’area, infiltrando l’intero sistema statale della Guyana.

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RIVENDICAZIONI, quelle venezuelane, che si sono infine tradotte nella convocazione di un referendum consultivo che oggi vedrà i venezuelani – una volta tanto tutti uniti, chavisti e oppositori – esprimersi su cinque quesiti relativi alla controversia.
Vale a dire, sulla richiesta di respingere «con tutti i mezzi» – non è chiaro se includano il ricorso alla guerra – la linea «imposta fraudolentemente dal Lodo Arbitrale di Parigi del 1899», quando l’impero britannico si era appropriato, in maniera in effetti fraudolenta, della regione.

E, sempre con tutti i mezzi, di opporsi «alla pretesa» della Guyana di rilasciare concessioni per lo sfruttamento petrolifero in acque ancora in attesa di delimitazione, «illegalmente e in violazione del diritto internazionale». Una linea marittima arbitraria, quella creata dall’ex colonia britannica, i cui limiti territoriali, peraltro, non sono mai risultati chiarissimi: un altro capolavoro del colonialismo inglese.

ANCORA, I CITTADINI venezuelani dovranno decidere se accettare come unico strumento giuridico valido per risolvere la disputa l’Accordo di Ginevra del 1966, quando il Regno Unito si era impegnato con il Venezuela a trovare una soluzione concordata, benché la Guyana, diventata indipendente da lì a tre mesi, abbia poi respinto qualsiasi decisione che non fosse quella del 1899. Il quarto quesito riguarda invece il riconoscimento o meno della giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia, la quale ha preso in carico il caso lo scorso aprile, senza il consenso del Venezuela, in risposta alla richiesta avanzata dalla Guyana già nel 2018 affinché il confine attuale venga dichiarato legittimo e vincolante (e pare che a pagare i servizi legali sia proprio la ExxonMobil). E, infine, il quesito senz’altro più discutibile: quello relativo addirittura all’incorporazione dell’Esequibo al Venezuela.

SI TRATTA SOLO di un referendum consultivo, e sembra pure lasciare un po’ il tempo che trova, dal momento che è assai difficile che il governo Maduro possa far valere il risultato, a meno di non voler sul serio scatenare una guerra contro la Guyana. Se è utile a qualcosa, lo è, da un lato, a fini elettorali – l’Esequibo è un tema che genera consenso – e dall’altro a creare pressioni sul governo della Guyana, che non a caso, per impedirne lo svolgimento, si era rivolto alla Corte internazionale di giustizia, la quale però ha respinto la richiesta.

Che la Guyana consideri l’Esequibo una regione vitale per il paese, è del tutto comprensibile, dal momento che rappresenta due terzi della sua superficie e ospita quasi un terzo della sua popolazione. E, soprattutto, dal momento che, grazie alle riserve di petrolio, pari allo 0,6% del totale mondiale, il suo Pil crescerà quest’anno prevedibilmente del 25%, dopo l’exploit del 57,8% del 2022. E non è tutto: l’obiettivo è quello di produrre per il 2027 1,2 milioni di barili al giorno, rispetto ai soli 750mila del Venezuela.