Messico, si insedia Sheinbaum. È il tempo delle donne
Messico Crisi diplomatica con la Spagna: non è invitato il re, Madrid boicotta la cerimonia
Messico Crisi diplomatica con la Spagna: non è invitato il re, Madrid boicotta la cerimonia
Il tempo delle donne è iniziato. Così la stampa messicana saluta l’inizio dell’era Sheinbaum, prima donna in duecento anni di storia repubblicana ad avere le chiavi del Palazzo Nazionale. Lunedì sera è avvenuto il passaggio di consegne da Andrés Manuel López Obrador. Ieri, l’insediamento. Nel mezzo, la cena con i capi di Stato presso il Museo de la Ciudad de México che sorge a poche decine di metri dallo Zócalo. C’erano Xiomara Castro (presidente dell’Honduras), Bernardo Arévalo (Guatemala), Lula (Brasile), Gustavo Petro (Colombia), Miguel Díaz-Canel (Cuba). C’era Jill Biden in rappresentanza della Casa Bianca, «felice che il Messico abbia la sua prima presidente donna».
SIGNIFICATIVA la presenza di Ruslan Stefanchuk, presidente del parlamento ucraino, che su espresso mandato di Zelensky è sbarcato in Messico per «rafforzare la cooperazione tra i due paesi». Assente giustificato il presidente boliviano Luis Arce, rimasto in patria per seguire da vicino l’emergenza incendi che sta colpendo il paese. Assenza pesante, invece, è quella spagnola.
Claudia Sheinbaum ha infatti lasciato fuori dalla lista degli ospiti il re di Spagna Felipe VI, riaccendendo lo scontro diplomatico tra i due paesi che sembra così destinato a durare ancora a lungo. Sheinbaum ha scelto di andare in continuità con la linea adottata da Obrador: era il primo marzo 2019 quando l’ex presidente chiese che il Regno di Spagna «esprimesse pubblicamente e ufficialmente il riconoscimento dei danni causati» al Messico durante il periodo coloniale. Da allora il silenzio, rotto dalla dura presa di posizione del presidente spagnolo Pedro Sánchez al mancato invito, lo scorso 27 settembre, definendo «inaccettabile e inspiegabile» la decisione «senza precedenti nelle fraterne relazioni» tra i due paesi di escludere il re Felipe VI dalla cerimonia di insediamento. Il governo spagnolo in risposta ha quindi comunicato che nessun rappresentante si sarebbe recato a Città del Messico. E così è stato.
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In corteo per Ayotzinapa dieci anni dopo. Verità e giustizia grandi assentiCLAUDIA SHEINBAUM ha spiegato la decisione di non invitare Felipe VI per «non aver risposto direttamente, come ci si sarebbe potuto aspettare nell’ambito delle migliori pratiche diplomatiche bilaterali» alla lettera inviatagli più di cinque anni fa da Amlo. Quindi, ha precisato che questo mancato invito, e la conseguente mancata partecipazione di rappresentanti del governo spagnolo all’insediamento, non avrebbe implicato la rottura delle relazioni diplomatiche. «Ma vogliamo rispetto».
A spiegare cosa il governo messicano sta aspettando da oltre cinque anni è stata la ministra degli Affari esteri, Alicia Bárcena: quando è stato scoperto il sito archeologico di Palenque, ha spiegato, le comunità indigene hanno chiesto – e ottenuto – una cerimonia di riparazione per consentire l’ingresso nei loro territori. «E questo abbiamo chiesto al Re di Spagna, un incontro di riparazione». Incontro, però, che è stato al tempo rifiutato con la seguente motivazione ufficiale: «L’arrivo, 500 anni fa, degli spagnoli nelle attuali terre messicane non può essere giudicato alla luce di considerazioni contemporanee».
COME AVVENUTO cinque anni fa, lo scontro ha acceso le polemiche e immediatamente dal piano politico il discorso si è spostato su quello storico. Sui giornali messicani non si contano gli interventi di studiosi e ricercatori. E molti citano un articolo di cinque anni fa di Bernardo Ibarrola, storico dell’Universidad Nacional Autónoma de México (Unam), che invitava lo Stato spagnolo a prendere una decisione perché non si può continuare a sostenere che «ciò che accadde cinquecento anni fa non può essere giudicato alla luce del presente» e, al tempo stesso, «ciò che accadde nel 1492 – il primo viaggio di Cristoforo Colombo – è ritenuto il momento fondativo della politica, della cultura e dell’identità spagnola». Perché, hanno ricordato gli storici in questi giorni, a dividere Messico e Spagna sono le due feste nazionali: da un lato il 16 settembre (1810), giorno dell’inizio della guerra di indipendenza, dall’altro il 12 ottobre (1492) quando una spedizione castigliano-aragonese raggiunse il territorio americano.
FORTE dei 35 milioni di voti ottenuti, pari al 61% degli aventi diritto, Claudia Sheinbaum è da oggi chiamata a mantenere la promessa fatta: portare a compimento la “Quarta trasformazione” iniziata da Obrador, dopo la prima del 1821 proprio con l’indipendenza dalla Spagna, la seconda con la separazione della Chiesa dallo stato (1861) grazie a Benito Juárez, la terza con la Rivoluzione che, tra il 1910 e il 1917, ha portato alla Costituzione oggi in vigore.
Lotta alla corruzione, riduzione delle disuguaglianze e promozione dello sviluppo economico saranno quindi gli assi intorno ai quali si muoverà anche il governo Sheinbaum. Un governo il cui assetto iniziale durerà pochi mesi. Già a gennaio – ha spiegato – ci sarà un rimpasto di governo conseguente all’accorpamento di alcuni ministeri. Tre mesi, quindi, per portare a compimento la prima riforma. Il tutto in attesa di capire cosa accadrà dall’altra parte del muro tra poco più di un mese. Perché un conto sarà discutere di immigrazione (e non solo) con Donald Trump, un altro con Kamala Harris.
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