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Argentina in piazza per l’università pubblica. Milei abbatte la scure

Argentina in piazza per l’università pubblica. Milei abbatte la scureLa protesta per l’università a Buenos Aires – Fernando Gens/Ap

America latina Subito dopo le proteste il presidente mette il veto alla legge sul finanziamento agli atenei

Pubblicato circa 3 ore faEdizione del 4 ottobre 2024

La posta in gioco è altissima: senza educazione universale, pubblica e gratuita, quale futuro può esserci per un paese? È per questo che mercoledì, a sei mesi di distanza dalla prima marcia federale universitaria, un milione e mezzo di persone sono nuovamente scese in strada in tutta l’Argentina in difesa dell’educazione pubblica e contro il veto alla Legge sul finanziamento universitario annunciato – e poi effettivamente firmato – dal presidente.

POTEVANO essere anche di più: come già avvenuto in precedenti manifestazioni, come quella dei pensionati, la ministra della Sicurezza Patricia Bullrich ha fatto tutto quello che era nelle sue possibilità per ostacolare la mobilitazione, annunciando alcune chiusure stradali e poi bloccando altri accessi, istruendo le forze di polizia a fermare i pullman che trasportavano i manifestanti, evocando lo spettro di un golpe «per novembre o dicembre».
Non è tuttavia servito a granché: mobilitazioni massicce si sono svolte in tutte le principali città del paese e in particolare a Córdoba, Mendoza, Rosario, Tucumán e Ushuaia. Oltre naturalmente a Buenos Aires, dove, a protestare di fronte al Congresso, non c’era solo il settore educativo, ma anche sindacati, organizzazioni sociali, associazioni per i diritti umani, forze politiche di tutto l’arco dell’opposizione.

E non poteva che essere così, considerando la posta in palio: «La situazione oggi è più critica che all’inizio dell’anno», ha evidenziato un documento firmato da tutte le realtà educative e letto dalla presidente della Federación Universitaria Argentina Piera Fernández de Piccoli.

«LA PERDITA di lavoratori nelle università pubbliche è di una gravità inusitata, con una percentuale enorme di docenti e del personale non docente condannata a percepire un salario al di sotto della soglia della povertà, quando non dell’indigenza». Ma i docenti non si arrendono: «Non vogliamo che ci strappino i nostri sogni. Non è a loro che appartiene il nostro futuro».
Per i parlamentari che saranno chiamati ad approvare o respingere il veto di Milei, il messaggio è arrivato forte e chiaro: «Chiediamo ai legislatori di svolgere la loro funzione, che è quella di ascoltare il popolo», ha dichiarato il segretario generale della Conadu (Federación Nacional de Docentes Universitarios) Carlos de Feo.

La risposta di Milei è stata, al solito, quella di attaccare a testa bassa sui social: «L’università pubblica non è in pericolo. In pericolo è il bottino che si spartiscono», ha dichiarato il presidente accusando i docenti di «prostituire una causa nobile» unendosi a un «gruppo di impresentabili» e dando così «mostra di debolezza e codardia». Come se la presenza alla marcia di esponenti politici come l’ex governatore di Buenos Aires Horacio Rodríguez Larreta, l’ex ministro dell’Economia Sergio Massa o l’ex deputata Elisa Carrió – sulla cui presentabilità ci sarebbe in effetti molto da discutere – fosse una responsabilità dei manifestanti.

E COME UNA RIPICCA – e una provocazione -, appena poche ore dopo la marcia è arrivata la conferma del veto presidenziale contro «l’irresponsabile progetto di aumento della spesa pubblica», così come avverrà con «qualsiasi altro progetto che possa minacciare l’equilibro fiscale». Stavolta però il barbecue che Milei aveva offerto ad 87 deputati «eroi» – quelli responsabili dell’affossamento della riforma pensionistica sostenuta dall’opposizione – potrebbe non aver luogo: almeno per il momento, infatti, il presidente non ha i numeri per blindare il suo veto al Congresso. «Pare che ci sia una complicazione con gli eroi», ironizza l’opposizione.

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