Inedite alleanze, nuove contrapposizioni e una fitta confusione si agitano da tempo intorno al dibattito – per ora concentrato nel Nord globale – sulla «transizione proteica»: in particolare la «carne in vitro», o «sintetica» o «coltivata» o «colturale» o «proteine di laboratorio». Un tema spiazzante anche per i vegetariani storici abituati a mettere insieme rispetto degli animali, ecologia, lotta alla fame nel mondo, salute, perfino sapore.

Una «soluzione scientifica rivoluzionaria». Così si esprime l’associazione internazionale Compassion in World Farming che spiega: «La domanda mondiale di carne continua ad aumentare, la produzione è quadruplicata dagli anni 1960. Gli allevamenti intensivi sono la principale fonte di crudeltà verso gli animali, hanno soppiantato quelli tradizionali, provocano crisi climatica, deforestazione, inquinamento. Le cellule coltivate in bioreattori sono una speranza per gli animali, la sicurezza alimentare, l’ambiente». Insomma «l’umanità deve trovare un nuovo rapporto con questo alimento».

Analoghe posizioni in Italia da parte di Animal Equality, che in un seminario con alcune start-up del settore ha denunciato la miopia della scelta governativa (quando «carne, latte e uova sono prodotti crudeli»). E la storica Lav, che vede nella carne coltivata «un contributo alla fine dello sfruttamento animale» e denuncia giustamente «l’assurda difesa del made in Italy» contro sistemi alimentari lungimiranti. Altri animalisti argomentano che comunque non ci sono alternative alla carne coltivata: le persone non rinunceranno al sapore e alla vista degli alimenti animali e ci sono moltissimi animali domestici carnivori da sfamare.

È invece per un netto no La Via Campesina, movimento di contadini presente in oltre 80 paesi e promotore dell’agroecologia e della sovranità e la sicurezza alimentare. Chiedendo «una moratoria globale su tecnologie pericolose che minacciano l’umanità» cita anche la carne cellulare. Va più nei dettagli il suo coordinamento europeo, Ecvc, che invoca (invano) il «principio precauzionale». Non risolverà la crisi climatica – sostiene Ecvc – perché consumerà grandi quantità di energia. Non sfamerà il mondo: sottonutrizione e malnutrizione sono legate alla carenza di cibo. I grandi giocatori saranno le stesse multinazionali dell’agrobusiness che controllano il mercato globale della carne. E a chi afferma che sarà un cibo sano, a basso colesterolo e niente antibiotici, Ecvc replica: «Nessuno sa quale impatto avrà questo cibo ultralavorato sulla salute umana».

Analoga la posizione dell’associazione Navdanya International. Per carne e latticini di laboratorio parla di «alimenti Frankestein che incentivano l’illusione di poter vivere al di fuori dei processi ecologici». Questa «nuova generazione di alimenti ultralavorati» sta nel campo delle false soluzioni all’insostenibilità degli attuali sistemi alimentari: la sua diffusione «aumenterà il controllo delle multinazionali sul cibo e la salute, accelerando il collasso delle economie locali e distruggendo ulteriormente la democrazia alimentare». Si tratta di una «variante dello stesso paradigma industriale degli allevamenti intensivi» e concentra il potere nelle mani di pochi, «artefici di questa spinta, con investimenti miliardari, sono Bill Gates, Jeff Bezos e giganti dell’industria della carne come Tyson foods, JBS, Cargill, Nestlé e Maple Leaf Foods» (per la verità, buona parte del business zootecnico è contrario).

Dunque «la soluzione sono i sistemi agroecologici che lavorano in armonia con la natura, rigenerano gli ecosistemi e assicurano la salute e il benessere di piante, animali, esseri umani».

In questi contrasti fra attori ben intenzionati gioca forse anche un equivoco: si abbina la carne coltivata al mondo delle proteine vegetali. Infatti, si contrappone la posizione dell’Italia a quella di «paesi che hanno deciso di investire in un futuro vegetale» (anche in Europa). E si evoca una sempre maggiore tendenza da parte delle persone a soluzioni plant-based.
Ma appunto: le proteine vegetali non industriali possono essere il punto d’incontro. Antiche come il mondo e accessibili a tutti: legumi, semi oleosi, proteine dagli alberi, cereali alternativi. I prodotti futuribili, forse, le rendono invisibili.