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Il bis incerto di von der Leyen, in tour dai premier popolari

Il bis incerto di von der Leyen, in tour dai premier popolariUrsula von der Leyen

Elezioni europee La presidente della Commissione Ue contestata in Portogallo dai pro-pal

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 8 giugno 2024

L’avvio della maratona elettorale nei Paesi Bassi giovedì ha riservato la sorpresa di exit poll arrivati ben prima della chiusura delle urne nella maggior parte dei paesi Ue. Urne aperte ieri in Irlanda e Repubblica Ceca, che continua anche oggi insieme a Lettonia, Malta e Slovacchia, oltre che Italia, mentre entro domani sera avranno avuto la possibilità di esprimersi tutti i circa 360 milioni di cittadini del continente.

Intanto, prima Portogallo e poi Austria sono state le ultime due tappe del lungo tour elettorale che ha portato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a percorrere in lungo e in largo i paesi Ue dopo l’investitura come capolista o spitzenkandidat del suo partito europeo, il Ppe, lo scorso marzo a Bucarest. Debole quel mandato per il bis al Berlaymont, in cui votarono circa la metà dei delegati e i francesi si espressero vocalmente contro, e piuttosto in sordina tutta la campagna elettorale. Vuoi perché il sistema del candidato capolista per la scelta del presidente di Commissione è tutt’altro che consolidato, vuoi perché von der Leyen sarà pure la scelta ufficiale del partito più votato dagli elettori europei, ma questo non basta. Le serve l’appoggio di almeno la maggioranza dei leader dei Ventisette, se vuole essere incoronata di nuovo.

«Sono convinta di avere il sostegno di molti leader. Mi conoscono e conoscono la mia esperienza», ha confidato ieri alla stampa von der Leyen parlando da Lisbona. Passaggio più movimentato a Porto, dove Ursula ha partecipato al comizio del neoeletto primo ministro conservatore Luis Montenegro, insieme al capolista alle europee Sebastião Bugalho. Non appena von der Leyen ha iniziato a parlare, è stata interrotta da un gruppo di circa venti attivisti pro-Palestina con le mani dipinte di rosso sangue. Alle accuse gridate dai contestatori sulla sua complicità nel genocidio, la spitzenkandidat ha replicato: «Se foste a Mosca, sareste già in galera». Sempre ieri, infine, è volata a Vienna per incontrare il premier Nehammer, non a caso anche lui Ppe.

Pur ostentando sicurezza, von der Leyen sa che la sua riconferma è possibile, ma non scontata. Non pesa tanto la competizione con Mario Draghi: ipotesi tutta da vagliare, che i ben informati dicono sia piuttosto un modo con cui il presidente francese Macron terrebbe la presidente della Commissione e il Ppe sulla graticola per aumentare il proprio potere negoziale. Altri, citando fonti tedesche, giurano che il cancelliere Scholz, ancorché socialdemocratico, non sarebbe comunque disposto a mollare l’appoggio alla connazionale, per ottenere in cambio magari la pur prestigiosa poltrona di Alto rappresentate per la politica estera a beneficio degli alleati di governo Grünen.

Il vero punto è che le ripetute aperture di von der Leyen a destra e soprattutto a Giorgia Meloni, favorite anche dalla strategia del potente capogruppo Ppe a Strasburgo Manfred Weber, suo amico/nemico, a molti non sono piaciute. Non a liberali e socialisti, per non parlare dei Verdi. I numeri necessari per comporre una maggioranza si capiranno lunedì, ma quasi certamente è a partire da queste famiglie politiche che il rebus andrà risolto. Per la fiducia serviranno almeno la metà più uno dei 720 eurodeputati: quota 361 sembra massa, ma in realtà è tutta da scalare.

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