Idiosincrasie di Rossana giornalista
Una lezione Come scansare le insidie della nostra professione per evitare che diventi la parodia di se stessa: da Balzac a Pino Rauti, una naturale inclinazione a rendere politico ogni gesto
Una lezione Come scansare le insidie della nostra professione per evitare che diventi la parodia di se stessa: da Balzac a Pino Rauti, una naturale inclinazione a rendere politico ogni gesto
A poco più di quarant’anni, per Rossana Rossanda comincia una nuova vita politica, interamente dedicata all’avventura del manifesto. Un’impresa culturale, politica e giornalistica che nel 1969 battezza la Rivista con la radicale critica al Pci, per fondare, due anni dopo, nel 1971, il gruppo storico ormai radiato da Botteghe Oscure, il quotidiano corsaro.
Una scelta controcorrente, che scarta la via tradizionale del partitino a sinistra del Pci, per intraprendere il sentiero stretto di un giornale come forma originale della politica.
La scommessa, dai più considerata perdente, è invece vinta, come testimoniano gli oltre cinquant’anni di presenza nelle edicole.
Molto si è scritto e si scrive, anche nelle pagine che avete di fronte, sull’eccellenza dell’impegno politico-teorico di Rossana, mentre curiosamente poco ci si è soffermati sul suo talento di giornalista.
Nel libro che raccoglie le 80 “Interviste” redazionali, pubblicato dal manifesto nel 1983 (e acquistabile sullo store del manifesto), firmandone la prefazione, Rossanda avverte: “Dieci anni di colloqui del manifesto con il resto del mondo scrivono la nostra vicenda con non meno verità degli editoriali”.
E’ proprio riandando al resoconto dei suoi incontri con i tanti personaggi della politica e della cultura che voglio dedicare il mio ricordo di lei, perché piacevolmente inaspettati, spiazzanti, una sorta di lezione su cosa distingue una buona intervista, su cosa si intende per buon giornalismo. Una disamina, affilata e ironica, versus i più evidenti difetti del nostro mestiere, purtroppo spesso ridotto alla parodia di se stesso.
Come nel caso del “giornalista-mattatore che – scrive Rossanda – coniuga se stesso con qualsiasi paesaggio umano”, producendo alla fin fine una “falsa intervista”, “un monologo dell’interrogante”.
Affondato il primo bersaglio, è pronto il secondo colpo ai danni del “giornalista-neutro”, quando, viceversa, è “il personaggio intervistato che si serve di lui avendo scelto la posa, lo sfondo, facendo scattare l’obiettivo con i congegni del potere a distanza: un monologo dell’interrogato”. Chiaro? Chiarissimo.
Il giornalista-narciso, come il giornalista- tappetino, sono imperiture macchiette che nel panorama nazionale vanno per la maggiore, potendo vantare – bisogna riconoscerlo –celebri antesignani nella stampa dell’Ottocento, quando a presentarceli è Honoré de Balzac, autore de “I giornalisti”, divertente pamphlet in cui compare, tra gli altri, il famoso “Nientologo”, colui da cui sgorga “una spaventosa mistura filosofico-letteraria con la pagina che ha l’aria di essere piena di idee, ma basta che l’uomo istruito vi metta il naso per sentire l’odore delle cantine vuote”.
Ma se sono false le interviste del narcisista o quelle in stile spot pubblicitario, qual è il segreto di una vera intervista? Come si disponeva Rossanda nell’incontrare le personalità del mondo politico e culturale che sceglieva di interpellare?
La risposta è semplice e riguarda due regole, due principi, due apriti sesamo: onestà intellettuale e curiosità.
“E’ un momento raro, simpatetico, che può darsi tra due persone assai lontane, per ideologia o esperienza: uno si china sull’altro, lo vuol vedere e l’altro risponde a sua volta vedendo, o intravedendo, gli occhi dell’interrogante. La vera intervista è un dialogo e abbisogna di una umana curiosità delle due parti”Rossana Rossanda sull'arte dell'intervista
“E’ un momento raro, simpatetico, che può darsi tra due persone assai lontane, per ideologia o esperienza: uno si china sull’altro, lo vuol vedere e l’altro risponde a sua volta vedendo, o intravedendo, gli occhi dell’interrogante. La vera intervista è un dialogo e abbisogna di una umana curiosità delle due parti”
Questa puntigliosa premessa, di metodo e di passione, allude a una doppia pedagogia: proprio mentre spiega perché interlocutori così diversi tra loro accettino il confronto con il manifesto, con un completo affidamento, senza neanche chiedere di rivedere domande e risposte, Rossanda ci svela la natura profonda della cultura politica in dotazione al formidabile gruppo delle madri e dei padri fondatori.
“Credo che ci abbiano ascoltato e parlato perché, come i giocatori di bridge, noi annunciamo sempre il colore”. Nessun camuffamento, del resto, sarebbe stato possibile per quel gruppo di comunisti eretici, capaci di infrangere i riti della propria chiesa accettandone la scomunica senza abiure, immuni da quei rancori e furori di cui restano preda tanti ex comunisti, finiti nei palazzi e nelle corti del potente di turno.
Una postura mentale, un Dna culturale (mi viene in mente il famoso, sferzante articolo di Luigi Pintor: “Chi ha paura di Bettino Craxi?” contro i luoghi comuni dell’anticraxismo), che il gruppo storico del manifesto testimoniava ogni giorno alla nostra generazione del ‘68, approdata nelle stanze di via Tomacelli.
Nessun altro gruppo degli anni ‘70 poteva vantare questo spirito – scrive Rossanda, “furiosamente laico” – che lei riassume con l’inconfondibile accento di chi dice “vediamo un po’ come stanno le cose”.
Formata a questa scuola, un giorno decido di prenderla in parola con una piccola provocazione: “E se andassi a intervistare Pino Rauti?”. Coraggiosamente Rossana affronta il rischio e alla fine mi dice di sì (l’intervista uscì a tutta pagina), ma a patto che nella tana del lupo andassi accompagnata da un altro redattore, Gigi Sullo.
“Fummo degli estremisti davvero bizzarri. Forse per questo non piacemmo troppo, né alle istituzioni che ci misero fuori dalla loro cerchia, né ai movimenti che gradiscono verità più semplici e consolatorie”Rossana Rossanda
In questa “furiosa” laicità consiste, né più, né meno, l’elisir di lunga vita del giornale: contro il movimentismo senza se e senza ma, al pari del leninismo fuori tempo massimo. Rossanda lo sottolinea ripetutamente: “Fummo degli estremisti davvero bizzarri. Forse per questo non piacemmo troppo, né alle istituzioni che ci misero fuori dalla loro cerchia, né ai movimenti che gradiscono verità più semplici e consolatorie”.
Gli anni ‘70, le speranze e soprattutto le sconfitte, si dipanano nei loro aspetti salienti e sono scuri i colori con cui Rossanda dipinge l’Europa dove, già a metà del decennio, è protagonista la faglia del dissesto economico.
E’ la crisi che “sgretola ferocemente le basi sociali”, che “alla sinistra non dà requie, né dove è al potere, né dove non lo è”. Dalla Francia di Mitterrand (“né socialismo, né socialdemocrazia, meno dell’uno e più dell’altro”), alla Spagna (“appena un impegno di democrazia”), all’Europa dell’est.
Siamo alla vigilia delle prossime, cruciali elezioni europee, nel mezzo di guerre d’invasione dentro il Vecchio Continente, di atroci stragi ai suoi confini mediorientali.
Risuonano lucide e profetiche le parole di Rossana sull’Europa: “La crisi matura il suo prodotto mostruoso e naturale, la destabilizzazione dovunque e la rinascita del pericolo di guerra anche nelle zone alte”.
L’ultimo articolo Rossana lo ha scritto nel 2019, “Una giornata meravigliosa con il profumo delle petunie”, dedicato ai 90 anni di Luciana Castellina.
La redazione consiglia:
Una giornata meravigliosa con il profumo delle petunieL’ultimo di una serie per me oltremodo significativa, perché segnava il suo ritorno dopo la dolorosa rottura, la più grave della nostra storia. Riuscimmo nel doppio salto mortale: una nuova cooperativa, la testata finalmente nostra.
Articolo pubblicato ne “il secolo di Rossana“, supplemento speciale del manifesto in edicola il 23 aprile 2024
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