E smettemmo di chiamarla signora Rossanda
Gli esordi di Rossana I giovani indisciplinati della Fgci, le riunioni a Milano (via Bigli) e il molto eterogeneo gruppo fondatore della rivista che sarebbe divenuta dal 1971 il nostro giornale: il manifesto
Gli esordi di Rossana I giovani indisciplinati della Fgci, le riunioni a Milano (via Bigli) e il molto eterogeneo gruppo fondatore della rivista che sarebbe divenuta dal 1971 il nostro giornale: il manifesto
Vi siete chiesti come, dove, quando si sia formato il gruppetto di quelli che poi sono stati chiamati i fondatori del manifesto, nome dell’impresa politica che tuttora titola questo quotidiano? Dovreste esserne curiosi, perché più diversificato non avrebbe potuto essere: tutti iscritti al Pci, certo, ma differenti per la collocazione che ognuno vi aveva, per luogo di residenza, per età, per cultura, per carattere!
Di questi 100 anni di Rossana, che oggi celebriamo, ne ho vissuti a contatto diretto ben 65, dunque ho pensato di raccontarvi, anziché il dopo, la fatidica data di nascita dell’impresa: il ’69, il prima.
E per ricordarmi meglio sono andata a rimettere il naso nei faldoni dove tuttora ho raccolto le tantissime lettere che ci siamo, a lungo, scambiati, con quelli che hanno cominciato a frequentare Rossana dalla fine degli anni ’50.
Allora ci si scriveva, e anche molto – il telefono si usava solo per le urgenze e i computer non esistevano – perché in tanti eravamo diventati “inquieti”. Il mondo stava infatti cambiando, ma il Pci sembrava non accorgersene e per questo non si preoccupava di rispondere all’interrogativo: basta essere soddisfatti di quello che siamo, certo non poco, ma senza che più sia chiaro quale mondo alternativo vogliamo costruire?
Coloro con i quali discutevo per lettera erano quelli della Fgci, o meglio, quelli che ruotavano nello spazio del suo settimanale, che prima Sandro Curzi, poi io, abbiamo diretto fino ai primi anni del ’60. “Nuova Generazione” era mal sopportato dal partito perché in quella fase di grandi mutamenti storici, non ancora ufficialmente digeriti da Botteghe Oscure, il giornale valicava spesso i confini dell’ortodossia. Anche per questo avevamo un gran bisogno di scambiarci giudizi sino a formare un’area non di dissenso ma certo di indisciplina.
Milano diventò presto la nostra capitale, perché quella città del nord era per tutti noi un posto speciale: l’avamposto di una Europa a noi sconosciuta, che la locale “Casa della cultura” ci stava facendo scoprire poco alla volta, attraverso i tanti intellettuali di sinistra che vi venivano invitati. A dirigerla, una compagna che però chiamavano “signora Rossana Rossanda Banfi”, sebbene, oltreché alle prese con gli intellettuali, in qualità di membro della segreteria della Federazione milanese del Pci, fosse anche, e anzi prevalentemente ormai, impegnata su una problematica assai più complessa.
Rossana non era ovviamente della Fgci, e non era nemmeno come gli altri funzionari del partito. Era curiosa, e per questo divenne per noi una interlocutrice preziosa: come testimoniano le tante lettere di Achel (così veniva chiamato allora Achille Occhetto, che sì, allora e fino all’XI congresso, fu con noi!), al tempo responsabile degli studenti della città, o di Michelangelo Notarianni, che gli succedette più tardi nella carica di segretario provinciale della Fgci, a sua volta seguito da un’altra del nostro gruppo, questa volta donna, Lia Cigarini (poi indiscussa esponente del gruppo della Libreria delle donne).
C’era anche Luca Cafiero, dottorando in letteratura inglese del ‘700, in seguito capo dei cosiddetti Katanga, il temibile servizio d’ordine del Movimento studentesco.
Io stavo a Roma, ma come dicevo, Milano fu in quegli anni la nostra capitale, e appena potevo andavo al nord, come incominciarono a fare in molti come noi “inquieti”. Nel salotto di Rossana lavorammo per mesi persino al progetto di una rivista che avrebbe dovuto chiamarsi, in nome del primato della politica, “il Principe”.
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Un incontro, di storie e memorie, della comunità del ManifestoNelle serate improvvisate, nell’appartamento del Palazzo Trivulzio in via Bigli 21, dove via via ci abituammo a non chiamare più “signora” Rossana, imparammo molte cose, ma certo non voglio sostenere che il manifesto nacque dalla Fgci.
“Ingraiani”, come poi ci chiamarono, diventammo molto dopo, quando Rossana fu chiamata a Roma – tipica decisione di Togliatti, il quale odiava quelle avanguardie che lei aveva legittimato a Milano; ma poi, proprio a lei, nel ’62, chiese di venire a dirigere la delicata e importantissima commissione culturale del partito.
E’ allora che il gruppetto pre-manifesto non fu più un pezzetto di Fgci, ma si arricchì innanzitutto di due personaggi di primo piano, Aldo Natoli, medico e incarcerato durante il fascismo, poi straordinario protagonista della durissima battaglia urbanistica a Roma. E diversissimo, fra i primi, Luigi Pintor, fratello di Giaime, saltato su una mina nel tentativo di raggiungere la prima linea del fronte sud. Fu lui a spingere Luigi, e il suo compagno di banco al Liceo Tasso (poi mio marito) Alfredo Reichlin a diventare ambedue giovanissimi Gap, dopo l’8 settembre.
Filippo Maone si trovava già nella commissione cultura di Botteghe Oscure quando Rossana vi arrivò: veniva da Napoli, dove si era fatto notare per aver fondato, giovanissimo, la prima rivista cosmopolita.
E, per aggiungere stravaganze, arrivarono sin dall’inizio anche Valentino Parlato, che era nato nientemeno che a Tripoli, da dove era stato espulso da re Idriss. E Ninetta Zandigiacomi che, a capo del sindacato tessili del Veneto, aveva contribuito a rovesciare la statua del Conte Marzotto a Valdagno. Un altro innesto risultato prezioso, questo, quando ci ritrovammo, più di 10 anni dopo, a meditare su una Italia nuova, ormai segnata dalle contraddizioni del neocapitalismo e non più solo dall’arretratezza meridionale, e si cominciò a scontrarsi nel partito su quelle che furono chiamate “le riforme di struttura”.
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Addio a Ninetta Zandegiacomi, ci ha trasmesso il sapere operaioLucio arrivò invece a Milano, sia pure più tardi, nella nostra Fgci. Ma Rossana lo aveva, sia pure casualmente, incontrato prima, quando era ancora in corso il lungo travaglio che lo aveva indotto a lasciare i Gruppi giovanili della Dc e finalmente iscriversi al Pci. Fu in occasione del convegno organizzato dalla Associazione mondiale di sociologia che, presente Adorno, si teneva a Stresa.
Così lo ricorda Rossana nella Ragazza del secolo scorso: “A Stresa un bellissimo ragazzo mi avvicinò e con fare antipatico mi disse: “il tuo pezzo su Charles De Gaulle – ne avevo appena scritto su Rinascita – è tutto sbagliato. Che cosa ti dice Adorno?”. Era Lucio Magri con il quale avrei fatto un lungo percorso. Su De Gaulle aveva ragione. Era timidissimo”.
L’episodio riflette perfettamente quello che è poi rimasto il tipo di rapporto fra i due primi direttori della nostra Rivista: tanti contrasti, ma una reciproca profondissima stima e un grande affetto.
Al punto che quando, tanti anni dopo, Lucio decise di porre fine alla sua vita è a Rossana che chiese di accompagnarlo fino all’ultimo atto, un’esperienza che lei ricorda ancora come la più dolorosa della sua vita.
Articolo tratto da “Il secolo di Rossana“, supplemento speciale del manifesto in edicola il 23 aprile 2024
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