E ieri se ne è andata da questa vita la penultima vivente del primo nucleo del manifesto, quello che cominciò a esistere, sia pure informalmente, da prima che la rivista venisse alla luce: Ninetta Zandigiacomi.

Negli ultimi anni l’abbiamo vista poco, si era molto ritirata, anche per accudire il suo straordinario compagno, parecchio più anziano di lei, Michele Rago, uno dei più acuti e importanti intellettuali comunisti. Con Vittorini dette vita al Politecnico, fu uno dei primi inviati de l’Unità a Parigi, autore di scritti preziosi su Gramsci ma anche su Sciascia, e poi molto su Sartre di cui fu stretto amico. Ninetta e Michele si conobbero nella storica sede di Piazza del Grillo già piuttosto maturi e ambedue reduci da altre unioni e fu un amore grandissimo, anzi lo definimmo tutti «leggendario».

Ninetta veniva da tutt’altro mondo, sebbene anche questo del Pci: giovanissima segretaria del sindacato tessile a Vicenza, nell’epoca in cui gli operai a Valdagno buttarono giù per protesta la statua del fondatore del gruppo Marzotto, quando la bianca regione veneta diventò esempio di lotte esemplari. Proprio sui nuovi Consigli di Fabbrica Ninetta scrisse anche un libro: “Autonomia operaia. Esperienze di giornalismo operaio”, pubblicato dal nostro comune editore di allora, Bertani, di Verona, che editò anche una raccolta antologica sull’esperienza consiliare, in cui Ninetta scrisse della Montedison.

Più tardi, proprio su questa innovativa problematica che caratterizzò la rossa stagione degli anni ’70, Ninetta andò a insegnare all’università di Lecce, come assistente del prof. Cosimo Perrotta, docente di Storia economica.

Mi è difficile ricordare Ninetta senza parlare di sua madre Pina, fondatrice dell’Udi nel Veneto, una donna la cui carica innovativa, politica ed umana, ne fece un punto di riferimento per la mia generazione.

Prima della radiazione dal Pci – stessa data di quella di Valentino – Ninetta era stata spostata al centro, a Botteghe Oscure, alla commissione di massa (così si chiamava allora quella che si occupava di lavoro sindacale), allora diretta da Giorgio Amendola, la stessa dove lavorava anche Lucio Magri. (Fra le mie carte nei files sul sindacato ho rintracciato un inserto de l’Unità sulle le lotte del settore tessile nei primi anni ’60, a cura di: Accornero, Limiti, Magri e Zandigiacomi. Furono gli anni in cui diventò aspro il disaccordo interno al Pci proprio sulle lotte operaie, venuto alla ribalta in particolare in occasione della conferenza operaia del ’65, organizzata da Luciano Barca che allora dirigeva la specifica commissione operaia ed era assai vicino alle posizioni degli ingraiani.

Non c’è dunque da meravigliarsi che Ninetta, così come Eliseo Milani, allora segretario della sempre ribelle federazione di Bergamo, abbiano pagato per le loro posizioni – quelle sulla questione operaia che caratterizzarono la rottura del Manifesto che, nonostante quanto viene generalmente ricordato non furono solo relative a Praga – con la non rielezione, all’XI congresso del Pci del 1966 nel Comitato centrale del partito, dove erano stati eletti proprio perché figure esemplari del movimento. Quelli di noi che non eravamo nel C.C. fummo allontanati, come è noto, da Botteghe Oscure. Alcuni che invece lo erano ma furono «graziati» – Rossana, Pintor, Natoli, per esempio. finirono allontanati da cariche delicate e magari promossi nel Parlamento che allora era molto meno ambito del Partito.

Da questo mio racconto nostalgico – perché fu duro ma anche appassionato – capirete quanto Ninetta sia stata importante nella storia del manifesto. Ho scritto perché so che molti fra i giovani di quel periodo sanno poco, e della compagna Zandigiacomi anche meno perché negli ultimi anni si è allontanata dalla nostra quotidianità. Ma l’avete rivista in tanti quando, a piazza S. S. Apostoli, nell’autunno del 2020, abbiamo dato il nostro addio a Rossana Rossanda. Anche lei, sebbene già non proprio in salute, si unì a Filippo Maone e a me nel prendere la parola dal palco. Gli ultimi tre «moikani». Oggi di quel pezzo di storia sono rimasta la sola. E però già dalla fine del ‘’69 – come sapete bene – entrò una folla di sessantottini che poi, nella sostanza, hanno fatto e continuano a fare la vera e lunga storia del Manifesto.

Ninetta aveva 95 anni, uno più di me. Sono ancora giovane. Ma sapete cosa mi succede ora? Mi telefona ahimè quasi ogni mattina, qualche compagno per dirmi : “Mi spiace tanto doverti annunciare la morte del comp.Tal dei tali…”. Poi una sosta e tutti, senza eccezione, aggiungono: “…beh, del resto aveva 80 anni…”.

E a me mi tocca incassare. Auguro a tutti di poter fare altrettanto!