Rispetto all’origine politica ed alle radici storiche di provenienza, quelle che «non gelano», Gioventù Nazionale potrebbe essere annoverata come formazione moderata della destra in Italia. Nel Msi, il partito che secondo Giorgia Meloni avrebbe «avuto un ruolo molto importante nel combattere la violenza politica e il terrorismo» traghettando «verso la democrazia milioni di italiani usciti sconfitti dalla guerra», le organizzazioni giovanili avevano ben altra postura. Come ha ricordato dispiaciuto uno dei militanti ripreso dall’inchiesta di Fanpage «ci vorrebbe un bel manganello, il problema è che una volta si poteva fare, ora è diventato un problema». Esatto, una volta si faceva eccome.

Le strutture giovanili missine annoveravano dirigenti come Pierluigi Concutelli, presidente del Fuan di Palermo nel 1972-74 e poi nel 1976 assassino (come membro di Ordine Nuovo) del giudice Vittorio Occorsio, o Massimiliano Fachini, presidente del Fuan di Padova e poi consigliere comunale del Msi, condannato per banda armata e sostenitore della campagna innocentista a favore di Giovanni Ventura e Franco Freda (anch’egli già presidente del Fuan San Marco a Padova) riconosciuti responsabili della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Dalla sede del Msi di via Siena a Roma presero le mosse, alla fine degli anni Settanta, i futuri capi terroristi dei Nar di Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Dario Pedretti e prima di loro Paolo Signorelli (ordinovista condannato per banda armata e nonno dell’omonimo nipote portavoce del ministro Lollobrigida) era stato preposto dal partito – come scrisse il ministero dell’interno – alla formazione dei giovani missini ricevendo nel 1971 da Almirante l’incarico di guida di «squadre speciali e segrete con il compito di effettuare rappresaglie» in chiave anticomunista.

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Tra gennaio 1969 e febbraio 1971 furono denunciati 206 nei aderenti o militanti del Fuan e nelle perquisizioni eseguite furono sequestrati 10 Kg di dinamite, 20 detonatori e 1 pistola a Catania; 1 pistola, 2 detonatori e 9 barattoli di materia esplodente a Pavia; 415 litri di benzina e 38 bastoni a Perugia.

Il ministro dell’interno democristiano Franco Restivo relazionò in parlamento su 23 attentati compiuti in tutte le principiali città d’Italia. Su 32 denunciati «16 appartenevano alla Giovane Italia e 4 aderenti al Fuan».

Erano gli anni in cui «gruppi di aderenti a Ordine Nuovo – si legge in rapporto di Ps – insieme a quelli del Fuan e della Giovane Italia hanno preso parte per tutta la settimana a violentissimi, e quasi ininterrotti, scontri davanti a tutti i licei cittadini». Gli stessi anni in cui il direttore de Il Borghese Mario Tedeschi poteva scrivere «nelle Università grazie ai giovani del Fuan, della Giovane Italia, insomma di gente disposta a menar le mani la contestazione comunista è ormai ridotta». È il Tedeschi senatore missino (indicato dall’ultima sentenza del processo per la strage di Bologna del 2 agosto 1980 come uno dei responsabili/depistatori) che affianca in un comizio a Milano nel 1972 il giovane segretario del Fronte della Gioventù Ignazio Benito La Russa, immortalato dal film di Marco Bellocchio Sbatti il mostro in prima pagina.

Tempi dove il Raggruppamento Giovanile Italiano del Msi organizzava campeggi di formazione riservati «a tutti i camerati con almeno sei mesi di iscrizione alla Giovane Italia» a Corfù in collaborazione con le autorità della Grecia dei colonnelli, o dove Almirante aizzava le nuove leve missine: «I nostri giovani – disse nel 1972 a Firenze – devono prepararsi allo scontro frontale con i comunisti e voglio sottolineare che quando dico scontro frontale intendo anche scontro fisico». È lo stesso Almirante celebrato l’altro giorno dalla presidenza del Consiglio su X, in occasione dell’anniversario della nascita e ricordato come giornalista (inclusa l’attività da caporedattore della Difesa della razza?) e fondatore del Msi, «che ancorò alla democrazia parlamentare».

Ieri Meloni ha tentato una imbarazzata presa di distanza dalle immagini della sua gioventù. Ma da quel mondo proviene anche lei che, diciannovenne, nel 1996 fu intervistata da una Tv francese come dirigente di Azione Giovani e senza esitazioni affermò che Mussolini era stato «un buon politico» che aveva «fatto tutto per l’Italia». Solo due anni prima il segretario del partito Gianfranco Fini aveva definito il capo del fascismo «il più grande statista del secolo», pensiero probabilmente condiviso anche dall’attuale presidente del Senato, fino a poco tempo fa custode di un busto del duce nella sua casa.

Se queste radici non sono gelate e oggi si sono fatte albero in grado di reggere il governo della Repubblica, quelle oscene immagini mostrate da fanpage (razzismo, antisemitismo, saluti nazisti) non devono stupire. Semmai devono spingere il Paese che non vi si riconosce a porsi domande, senza sconti, sul passato e sul presente.