L’aula magna della Facoltà Valdese a Roma è stipata. I compagni di Filippo Maone non sono venuti solo da Roma ma da tutta Italia. «Filippo era il ragazzo del manifesto», ricorda commossa Luciana Castellina ed è una definizione che non abbraccia solo una biografia ma indica anche quel rapporto complesso e sfuggente che intreccia le vite delle persone a quelle di una comunità; non a caso è il termine che ricorre più spesso in tutti gli interventi.

Nelle parole degli amici che erano anche compagni e viceversa ma anche in quelle delle nipoti, Francesca, Sonia, Ilaria, Valeria. Ricordano uno zio adorato che era sempre in equilibrio tra due famiglie, due comunità, e sapeva viverle entrambe allo stesso modo: «Con gentilezza e rigore», sintetizza Massimo Serafini. Era lo zio che si presentò a casa di sorpresa con il primo numero del quotidiano comunista e farlo uscire era stato un miracolo. Una festa pubblica e privata.

LA COMUNITÀ POLITICA e umana che ha pianto e ricordato ieri uno dei suoi pilastri ha radici lontane, ricorda ancora Luciana, viene nei primi anni ’60, nelle riunioni a casa di Rossana Rossanda nelle quali si cominciava a elaborare quella critica al Pci che avrebbe portato più tardi alla nascita della rivista, alla rottura con il Partito, alla fondazione del gruppo politico e di questo giornale che se ancora vive lo deve in parte non trascurabile a Filippo. Era il più giovane in quei primi anni ’60. Era il «ragazzo» che avrebbe poi seguito Rossanda come assistente della responsabile della Cultura del Pci e infine nell’avventura del manifesto.

È giusto dunque che il primo a rendere omaggio, a nome suo e della direttrice Norma Rangeri, sia il condirettore Tommaso Di Francesco. Anche se di imprese destinate a una vita lunghissima Maone ne ha tenuta a battesimo anche un’altra: L’Indice dei libri del mese fondato nel 1984 con Gian Giacomo Migone, nel quale si ritrovò a lavorare, «con immenso divertimento» assicura oggi, una delle nipoti, Sonia.

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ALL’ESTERNO MAONE lo si notava poco. «Scriveva benissimo ma poco» sottolineano un po’ tutti. Era una di quelle figure la cui visibilità è inversamente proporzionale all’indispensabilità. Aveva la dote, come Mr. Wolf, di risolvere problemi e per far nascere e poi vivere il manifesto di problemi da risolvere ce ne sono sempre stati in quantità. Luciana ricorda che fu lui a insistere perché la rivista non andasse solo in libreria, territorio da intellettuali, ma anche in edicola, alla portata di tutti. Sembrava una follia, vendette 50mila copie.

Uno sproposito. Il quotidiano gli deve anche di più: quando arrivò nelle edicole, il 28 aprile del 1971, neppure i grandi giornali dell’epoca si avvalevano della teletrasmissione. Dalla Stampa arrivarono in delegazione per studiare il metodo adottato allora solo da quel giornale senza soldi e senza editore.

RISOLVERE PROBLEMI è una faccenda pubblica quanto privata. Forse l’episodio che meglio illustra la personalità di Filippo Maone, raccontato da Luciana Castellina – ora è anche una favola -, riguarda una gatta: quella di Rossana Rossanda, smarritasi durante il soggiorno a casa di Luciana dopo il ritorno a Roma dopo gli anni passati a Parigi. Ritrovarla sembrava impossibile. Inutili le ricerche a tappeto. Ci volevano intelligenza, astuzia e anche amore per capire che la gatta sarebbe certamente tornata nelle vicinanze ma solo a tarda notte, sentendosi al sicuro. Filippo si piazzò su una seggiola di fronte alla porta tutta la notte e la mattina dopo la gatta era di nuovo tra le braccia di Rossana.

NESSUNO TRA QUELLI che prendono la parola, da Famiano Crucianelli, che Maone lo conosceva da sempre ma ne era diventato amico solo negli ultimi anni, a Felice Besostri a Pancho Pardi, dalle nipoti ai compagni di militanza riesce a dividere nel ricordo lo spessore umano di Filippo Maone dal suo ruolo politico, e forse il segreto di una comunità è proprio in questo: nell’impossibilità di separare l’impegno e gli affetti, l’amico dal compagno.

La sua «gentilezza», ricorda Crucianelli, non era solo un tratto del carattere, era anche ciò che gli permetteva di dialogare con tutti e mettere tutti in comunicazione, in un mondo come quello della sinistra dove troppo spesso la rigidità prevale e distrugge. Alla fine le note soffuse di «Dance me to the end of love» la canzone di Leonardo Cohen che Filippo amava in modo particolare.