Negli anni ’84-’85 Filippo mi ospitava a regolari intervalli nella sua casa accogliente, dietro il Tribunale di Roma. Trascorrevamo lunghe serate a mettere i titoli e impaginare i primi numeri de “L’Indice dei libri del mese”, talvolta con l’aiuto di Astrit Dakli. Poi sopraggiungeva la nipote di Filippo, Sonia Vittozzi – a cui va il mio pensiero oggi con sua sorella Francesca – che gestiva il nostro lavoro in tipografia. Filippo era implacabile. Ogni titolo era il frutto di lunghe discussioni alla fine delle quali di solito aderivo alle sue proposte, pensando così di poter passare al titolo successivo. «Eh no», diceva Filippo, aggiustandosi gli occhiali sul naso, «ora tu sposi la mia soluzione soltanto per concludere, mentre non sei convinto», e con mia somma stanchezza, ed irritazione, riprendeva da zero la discussione. O quando, me lo raccontava lui stesso, radunava a Roma tutta la sua famiglia napoletana, ne organizzava minutamente il soggiorno, per poi indispettirsi quando veniva disobbedito.

E quando sempre lo stesso Filippo in trasferta, in una fase successiva in cui aveva preso corpo a Torino la direzione e la redazione della nostra rivista, egli puntualizzava: «Qui l’unico torinese sono io. Voi siete tutti napoletani».

Non so se vi è mai capitato, quando viene a cessare la presenza di una persona amata, di sentire nostalgia soprattutto dei momenti di frizione, magari di quelli che persino percepivi come suoi difetti. C’è un film di Woody Allen, di cui non ricordo purtroppo il titolo, in cui il protagonista (sempre Woody) viene a mancare. I suoi amici più stretti si riuniscono intorno a un tavolo, rievocano suoi presunti difetti e conflitti, per poi sciogliersi in lacrime per la sua assenza.

Molte sono state le madri e i padri della prima rivista di libri italiana che, dopo quasi 40 anni di vita, gode di buona salute. Eppure Filippo fu una delle due persone senza le quali essa non avrebbe mai visto la luce. Esattamente come “Il manifesto”, prima rivista e poi quotidiano, come ha testimoniato Luciana Castellina. Perché Filippo era uno straordinario editore, universalmente riconosciuto, la cui posizione costituiva un decisivo biglietto da visita, quando si entrava in rapporti di collaborazione con altri editori e personaggi mediatici quali, ad esempio, Carlo Caracciolo e Luciano Ceschia.

La stima da cui era circondato trascendeva il suo ruolo professionale. Diventava sentimento di amicizia che scavalcava differenze politiche anche acute. Ricordo nitidamente come Giorgio Napolitano descriveva l’importanza culturale della sua libreria napoletana. Mentre lo avevano accompagnato nell’impresa dell’ “Indice” persone a lui strettamente legate da una comune storia politica, quali Rossana Rossanda, una delle ideatrici, Loris Campetti ed Eliana Bouchard, rispettivamente redattore capo e segretaria di redazione, per Filippo io restavo pur sempre un esponente dell’altra componente della breve ma intensa avventura politica comune del Pdup, quella dei «socialisti e cattolici senza principi». Eppure, ritrovandoci insieme, nella nuova impresa – il primo numero usci’ con il sottotitolo «a cura del Manifesto» – constatammo insieme che le divergenze passate erano poca cosa rispetto a quanto ci legava, allora e poi: fine e valori comuni, stima reciproca, relativa indifferenza per le gerarchie passeggere vigenti, passione da condividere con altre persone di provenienze variegate, ma con caratteristiche analoghe.

Come ha scritto Luciana: «Non avrei mai pensato di dover subire la sua perdita. La vecchiaia è dolorosa non solo per i propri acciacchi, ma anche perché se dura troppo ti espone alla perdita di chi senti come una parte di te stesso».