Visioni

Iara Rennò, mappe afrobrasiliane tra testa e cuore

Iara Rennò, mappe afrobrasiliane tra testa e cuoreIara Rennò – foto di José de Holanda

Musica Femminista, artista, poetessa, produttrice, molte le collaborazioni dalla «vanguardia» alla tradizione. «Negrescer, indigenescer, feminilizar» le parole al centro dell’ultimo album acustico «Orí Okàn»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 25 giugno 2023

È un’immersione incantatrice nella cultura e nella spiritualità afrobrasiliana, quella a cui Iara Rennò ci invita con Orí Okàn, il suo nono disco, complementare e gemello del magnifico Oríkì uscito meno di un anno fa e candidato ai Grammy latini in quelle bizzarre categorie dei premi musicali, «miglior album di radice in lingua portoghese». Insomma, un album di musica di tradizione per Iara l’esploratrice, l’avanguardista di lignaggio, la femminista, l’artista in espansione, musicista scrittrice attrice, produttrice, alias Iara Reluxx, pericolo alta tensione?

DIFFICILE infilare la musica dentro questa definizione, neanche ora che Iara la multipla sceglie il suono acustico e l’approccio intimista, cambiando cammino, «testa e cuore» – questo il significato del titolo in yoruba – rispetto al più sfaccettato predecessore. Non un album chitarra e voce, «non ho resistito a introdurre qualcosa in più», ma vicino il più possibile alla loro composizione, Iara e la chitarra, sole.

Esalto tecnologie e saperi collocati in posizione subordinata per troppo tempo, errore che paghiamo a un prezzo altissimo Iara Rennò
La contemporaneità è assoluta. Intervistata da una rivista musicale brasiliana, «Noize», Rennò indicava le priorità per un artista: negrescer, indigenescer, feminilizar. Da qui in avanti, essere più neri, indigeni, femmine. L’urgenza è questa. «Esaltare – spiega – tecnologie e saperi collocati in posizione subordinata per troppo tempo, errore che paghiamo a un prezzo altissimo in diseguaglianze sociali, violenza, sterminio, devastazione. La nostra produzione non può che essere su questo».

Negrescer è navigare la sua musica, in forma intima e solitaria o in condivisioni plurime e fecondissime, nel mare luminoso e misterioso delle religioni resistenti di matrice africana. E scegliere di aprire con l’unico brano di Orì Okan non a sua firma, salutando la regina del mare, rileggendo Iemanjà dall’album postumo di Serena Assumpção. Gli incroci, le relazioni, le reti: come Anelis sua sodale ai tempi del gruppo DonaZica, Serena era figlia di Itamar, protagonista gigante della stagione musicale, e culturale, della Sao Paulo degli anni 80 che va sotto il nome di vanguarda paulista, avanguardia paulista. Semplice. Semplice, complessa, erudita, popolare, fertile, provocatoria, multipla, sovversiva. Quella scena echeggia fortissima in tutta la musica indipendente brasiliana che è venuta dopo, quella della capitale paulista in testa. Itamar fra tutti, su tutti, un marziano afrofuturista. Uno che di quella bella gioventù ha da vantare più terreiro di candomblé che aule universitarie. Iara Rennò ha cantato con lui per tre anni. Con lui ha collaborato tutta una vita sua madre, Alzira E. Sulle famiglie musicali brasiliane ci sarebbe da aprire un capitolo che non abbiamo tempo di aprire, epperò. Quello che arriva visibilissimo ai nostri occhi europei, le famiglie grandi di Gilberto Gil sul palco, i figli di Veloso in tour col padre. La musica del gigante sudamericano tutta è figlia di Matria, luogo della lingua, possibilità di parola.

Indigenescer è forse anche la messa in musica, e in scena, del capolavoro modernista di Mario de Andrade, Macunaima. L’eroe senza nessun carattere è il debutto solista di Rennò del 2008, e diventando Opera tupi, o Macunaó.peraí.matupi riscatta il pensare musicale del modernista, il gioco prezioso della lingua, insieme al valore pratico, utilitario che la creazione artistica deve ricoprire nelle convinzioni di de Andrade. Dalla tradizione orale, dalla lingua indigena e afrodiscendente di Mario de Andrade che canta l’epopea dell’eroe amazzonico, scendendo la linea della sua rivisitazione attraverso cinema, teatro, e scuole di samba, atterra con Rennò in un canzoniere moderno, tradotto, accessibile. Con l’apporto di tanti, da Tom Zé ad Arrigo Barnabé, altro padre nobile della vanguarda. Ci sarà una messa in scena, un’Opera Baile, nel 2010 nel teatro Oficina di Zé Celso, il laboratorio di sperimentazione che tanta parte ha avuto nel sorgere della tropicalia, e nel cinema novo di Glauber Rocha.Feminilizar. Il corpo, il desiderio, la parola erotica. Lingua Brasa Carne Flor è il debutto letterario di Iara Rennò, poesia femmina e libertaria, che l’anno successivo si infila nel disco Arco (2016) e suona nel clarone di Maria Beraldo, nella batteria di Maria Portugal e nella voce e nella chitarra della stessa Rennò. Un arco accompagnato da un altro gemello, Flecha, una freccia di afrobrasilianità. E ancora, corrispondenze musicali, creative, di vita, sguardo, respiro. La filosofa femminista Djamila Ribeiro lo dice esplicitamente, quando e quanto non è evidente: le dee potenti e magnifiche del candomblé disegnano dei modelli lontani dalla femminilità di pelle bianca e storia coloniale e schiavista. E poi in piena pandemia, in AfrodisiacA declama e suona, e invita compagne e compagni di arte in incontri virtuali. Il libro arriva dopo. A sfogliare le collaborazioni di Iara Rennò si traccia una mappa larga, e plurale come poche, della scena musicale brasiliana, si incrociano le generazioni, si inciampa nella poesia, in Paulo Leminski, in ArrudA.

CI HA MESSO 13 anni Iara Rennò per arrivare ad Oriki e Orì Okan. Il seme è l’installazione sonora per il Museu Afro Brasil del 2009. Un oriki è un’invocazione, una preghiera, un saluto a uno spirito ancestrale. Marginalizzati e rimossi, riaffermati e risignificati. La storia che la Storia non racconta, come il samba della scuola di Mangueira che nel 2019, in piena era Bolsonaro, ha vinto il titolo mettendo in fila i protagonisti di un Brasile che non si trova nei libri, da Dandara a Marielle Franco.
Chiedere alla musica di raccontare la storia, è probabilmente il modo più piacevole per impararla. Per avere salvi odori colori e temperatura. Per mettere a terra l’antropofagia culturale, nel banchetto per tutti e nelle offerte agli dei. «Guida la mia guida, guidami Ogyan» canta Iara con le sue Negresko Sis – Thalma de Freitas, Anelis Assumpção e Céu. Ecco, sì.

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