Iara Rennò, mappe afrobrasiliane tra testa e cuore
Musica Femminista, artista, poetessa, produttrice, molte le collaborazioni dalla «vanguardia» alla tradizione. «Negrescer, indigenescer, feminilizar» le parole al centro dell’ultimo album acustico «Orí Okàn»
Musica Femminista, artista, poetessa, produttrice, molte le collaborazioni dalla «vanguardia» alla tradizione. «Negrescer, indigenescer, feminilizar» le parole al centro dell’ultimo album acustico «Orí Okàn»
È un’immersione incantatrice nella cultura e nella spiritualità afrobrasiliana, quella a cui Iara Rennò ci invita con Orí Okàn, il suo nono disco, complementare e gemello del magnifico Oríkì uscito meno di un anno fa e candidato ai Grammy latini in quelle bizzarre categorie dei premi musicali, «miglior album di radice in lingua portoghese». Insomma, un album di musica di tradizione per Iara l’esploratrice, l’avanguardista di lignaggio, la femminista, l’artista in espansione, musicista scrittrice attrice, produttrice, alias Iara Reluxx, pericolo alta tensione?
DIFFICILE infilare la musica dentro questa definizione, neanche ora che Iara la multipla sceglie il suono acustico e l’approccio intimista, cambiando cammino, «testa e cuore» – questo il significato del titolo in yoruba – rispetto al più sfaccettato predecessore. Non un album chitarra e voce, «non ho resistito a introdurre qualcosa in più», ma vicino il più possibile alla loro composizione, Iara e la chitarra, sole.
Esalto tecnologie e saperi collocati in posizione subordinata per troppo tempo, errore che paghiamo a un prezzo altissimo Iara RennòLa contemporaneità è assoluta. Intervistata da una rivista musicale brasiliana, «Noize», Rennò indicava le priorità per un artista: negrescer, indigenescer, feminilizar. Da qui in avanti, essere più neri, indigeni, femmine. L’urgenza è questa. «Esaltare – spiega – tecnologie e saperi collocati in posizione subordinata per troppo tempo, errore che paghiamo a un prezzo altissimo in diseguaglianze sociali, violenza, sterminio, devastazione. La nostra produzione non può che essere su questo».
Negrescer è navigare la sua musica, in forma intima e solitaria o in condivisioni plurime e fecondissime, nel mare luminoso e misterioso delle religioni resistenti di matrice africana. E scegliere di aprire con l’unico brano di Orì Okan non a sua firma, salutando la regina del mare, rileggendo Iemanjà dall’album postumo di Serena Assumpção. Gli incroci, le relazioni, le reti: come Anelis sua sodale ai tempi del gruppo DonaZica, Serena era figlia di Itamar, protagonista gigante della stagione musicale, e culturale, della Sao Paulo degli anni 80 che va sotto il nome di vanguarda paulista, avanguardia paulista. Semplice. Semplice, complessa, erudita, popolare, fertile, provocatoria, multipla, sovversiva. Quella scena echeggia fortissima in tutta la musica indipendente brasiliana che è venuta dopo, quella della capitale paulista in testa. Itamar fra tutti, su tutti, un marziano afrofuturista. Uno che di quella bella gioventù ha da vantare più terreiro di candomblé che aule universitarie. Iara Rennò ha cantato con lui per tre anni. Con lui ha collaborato tutta una vita sua madre, Alzira E. Sulle famiglie musicali brasiliane ci sarebbe da aprire un capitolo che non abbiamo tempo di aprire, epperò. Quello che arriva visibilissimo ai nostri occhi europei, le famiglie grandi di Gilberto Gil sul palco, i figli di Veloso in tour col padre. La musica del gigante sudamericano tutta è figlia di Matria, luogo della lingua, possibilità di parola.
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Chiedere alla musica di raccontare la storia, è probabilmente il modo più piacevole per impararla. Per avere salvi odori colori e temperatura. Per mettere a terra l’antropofagia culturale, nel banchetto per tutti e nelle offerte agli dei. «Guida la mia guida, guidami Ogyan» canta Iara con le sue Negresko Sis – Thalma de Freitas, Anelis Assumpção e Céu. Ecco, sì.
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