Chi cerca e traccia cammini di resistenza agli «epistemicidi» – termine coniato dal sociologo Boaventura de Sousa Santos per indicare la cancellazione sistemica di produzioni e saperi teorizzati dai gruppi oppressi – e a politiche e violenze razziste, ha ora tra le mani uno strumento elaborato con l’intento di condividere epistemologie provenienti dal Sud globale e riflessioni sulle pratiche antirazziste. È uscito da poco, per Capovolte, Piccolo manuale antirazzista e femminista (pp. 96, euro 12, traduzione di Francesca De Rosa e prefazione di Igiaba Scego) di Djamila Ribeiro.
Il pensiero della nota filosofa afro-brasiliana (qui una sua intervista) è già stato introdotto in Italia dalla casa editrice con la sua prima pubblicazione, Il luogo della parola (2020), titolo che inaugura la collana «Intersezioni» ed elabora il concetto di «luogo di enunciazione» o locus sociale da cui si parla, e si esiste. E a continuare la collana, dopo voci quali Grada Kilomba, Verónica Gago e Carla Akotirene, è ancora Djamila Ribeiro con il suo libro più conosciuto in Brasile. In Italia, il titolo del testo viene tradotto sottolineando l’unione tra femminismo e antirazzismo, assumendo pienamente le lezioni dei femminismi neri.

NEI SUOI LAVORI, Ribeiro presta la sua voce alla costruzione di un percorso di lotta contro oppressioni che non hanno segnato solo la sua storia. Attraverso un cammino tutt’altro che facile – raccontato in modo intimo nel suo ultimo testo di memorie Cartas para Minha Avó – ha ottenuto oggi una enorme visibilità: recentemente è stata eletta membro dell’Academia Paulista de Letras, istituzione letteraria fondata nel 1909 e costituita da 40 membri eletti a vita. Ribeiro è la prima donna nera della storia brasiliana a occupare un posto in questa istituzione. Lo spazio conquistato è per lei uno strumento per moltiplicare la visibilità di tante altre voci di lotta del suo Brasile. È così che, per esempio, fonda la collana editoriale Feminismos Plurais, pensata per diventare uno spazio di dibattito accessibile, «sano, onesto e di qualità» e per divulgare il più possibile produzioni intellettuali di gruppi storicamente marginalizzati, considerati in quanto soggetti politici. Le pubblicazioni sono esclusivamente a cura di donne nere o indigene, includendo la partecipazione di uomini neri di diverse aree geografiche del Brasile.

Senza imporre una epistemologia della verità, Feminismos Plurais sceglie come identificativo la dimensione del plurale, mantiene una autonomia progettuale e riflette su temi fondamentali per la costruzione di lotte femministe e antirazziste, adottando una prospettiva non occidentalocentrica. È inoltre anche uno spazio materiale – pensato come una «casa» di formazione e supporto (giuridico e psicologico) – voluto e inaugurato da poco, a São Paulo, proprio dalla filosofa. Occupare spazi di visibilità – simbolici e materiali – è infatti parte fondamentale del cammino decoloniale necessario al rovesciamento dell’egemonia oligarchica, bianca, patriarcale e razzista che da secoli logora i tanti «Brasili» (un plurale obbligatorio, anche in questo caso, come ricorda costantemente la reporter Eliane Brum).

Piccolo manuale antirazzista e femminista si colloca nella stessa linea del testo precedente: chiarezza espositiva, concretezza dei concetti, dialogo con importanti femministe nere contemporanee, accessibilità di lettura – caratteristiche distintive anche delle altre proposte editoriali elaborate da Ilaria Leccardi, la sua editrice italiana.

RIBEIRO, incrociando riflessioni personali, percorsi collettivi e analisi teoriche, apre il testo con tre fondamentali premesse: la dimensione strutturale del razzismo, non limitata ai gesti volontari degli individui; la relazione tra razzismo e schiavitù, evidente nei processi di naturalizzazione della condizione degli schiavi e delle schiave; infine, la permanenza di forme di schiavitù contemporanee attraverso il lavoro domestico e lo sfruttamento della parte vulnerabile della società. Con tali premesse può addentrarsi nelle dinamiche sociali del proprio paese, tristemente noto da un lato per aver sminuito le conseguenze della schiavitù attraverso miti nazionali sulla fondazione «meticcia» del popolo brasiliano, dall’altro per aver costantemente negato l’esistenza del razzismo, adducendo all’inesistenza di una legislazione coloniale razziale e diffondendo teorie che ostacolavano la separazione razziale solo in vista di uno spaventoso obiettivo di «sbiancamento» della popolazione.

Nonostante il testo si riferisca principalmente al contesto sociale brasiliano, i dieci capitoli del libro, organizzati in brevi «lezioni», sono uno strumento importante anche oltre il Brasile. Abbiamo infatti lo stesso compito, imprescindibile e permanente: «è impossibile non essere razzisti se si è cresciuti in una società razzista. È qualcosa che è in noi e contro cui dobbiamo lottare sempre».

IN QUESTO SENSO, l’edizione italiana attualizza e cala la discussione in un paese che «nega di essere perpetuatrice di un razzismo sistemico», come afferma nella prefazione Igiaba Scego. «E in Italia?», è infatti la domanda che pone Francesca De Rosa in appendice, stimolando una riflessione finale e una mappatura (in evoluzione) di progetti, reti, associazioni e collettivi attivi in Italia.
Con questo libro, Ribeiro (dal punto di vista teorico e dei saperi), ci ricorda che è innanzitutto importante informarsi sul razzismo, (ri)conoscerlo, leggere autori e autrici nere per contrastare l’epistemicidio di culture e saperi non bianchi e non occidentali (alla fine del testo troviamo un glossario dedicato alla vita e ai contributi delle autrici nere citate). Dal punto di vista invece politico e pratico, suggerisce e analizza cammini di consapevolezza e di lotta: riconoscere i processi di appropriazione culturale e sbiancamento delle culture, promuovere politiche di azione affermativa (soprattutto in ambito educativo), criticare la cultura della meritocrazia che costituisce false narrazioni di uguaglianza, lottare per la trasformazione del proprio ambiente di lavoro e contro il controllo sociale promosso da un certo uso del sistema penale.

UN VOLUME PENSATO innanzitutto per sostenere persone Nere e razzializzate nel prendere coscienza dei processi di riproduzione del razzismo e per «incoraggiare la conoscenza di sé», ma un libro che parla anche a uomini e donne non razzializzate, perché sia chiaro che «il razzismo è un problema bianco», come afferma Grada Kilomba e che, per questo «occorre responsabilizzarsi» ed emanciparsi criticamente dal sistema di oppressione che crea privilegio bianco.
Un libro per tutti, capace di ricordarci che il razzismo assume forme anche molto materiali, come quelle della violenza razzista (a cui è dedicato uno dei capitoli). Se in Brasile ogni ventitré minuti una persona nera viene assassinata (secondo i dati di Amnesty international) e si parla di un vero e proprio genocidio della popolazione nera e indigena – agghiaccianti le recenti storie dei brutali omicidi di Moïse Mugenyi Kabagambe, Genivaldo de Jesus Santos, Dom Philips e Bruno Ferreira -, anche in Italia assistiamo alle stesse perverse manifestazioni di violenza razzista: recentemente, Willy Monteiro Duarte, Youns El Boussettaoui e qualche giorno fa l’ennesimo brutale assassinio, quello di Alika Ogochukwu, in strada e davanti agli occhi dei passanti indifferenti. Smettere di pensare il razzismo come un problema delle persone nere e razzializzate è solo il primo passo per «fare della terra la nostra casa», recuperando le parole di Márcia Kambeba, giovane poetessa indigena brasiliana.

Piccolo manuale antirazzista e femminista riprende un’affermazione che Ribeiro aveva formulato in Il luogo della parola e che ci ricorda qual è il presupposto imprescindibile per aprire percorsi di (possibile o impossibile) ricostruzione e di resistenza contro gli effetti di violenze ed epistemicidi: «È necessario che chi è sempre stato autorizzato a parlare, ascolti».