Un vecchio detto, di difficile attribuzione, dice che le annate del tennis sono simili a quelle del vino. Prendendolo per buono, c’è il rischio che invece del solito Pimm’s a Wimbledon si inizi a sorseggiare sangiovese o, salendo verso l’alto Adige, qualcosa di più corposo, magari un vino robusto come il Lagrein, con il suo inconfondibile aroma vellutato.

Staremo a vedere. Quel che sembra certo è che l’Italia del tennis continua a sorprendere, suscitando curiosità e inanellando record. Prima Sinner, Poi la bravissima Jasmine Paolini e ora quel talento dal gioco elegante e fragile che è Lorenzo Musetti. Il ragazzo toscano, ventidue anni, ieri ha sconfitto il bombardiere francese Giovanni Mpetshi Perricard, portando contemporaneamente due italiani ai quarti di finale del singolare maschile di Wimbledon. Una prima volta qui a Church Road.

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Per provare ad analizzare le ragioni di questo successo, che i media stranieri, amanti delle etichette, hanno già ribattezzato Italian tennis reinassance, ho chiesto il contributo di Ubaldo Scanagatta, decano dei giornalisti che seguono il tour. “Questi risultati – spiega non sono affatto casuali ma rappresentano il risultato di alcune scelte chiare fatte negli ultimi anni. Io ne individuerei almeno tre”.

La prima, racconta l’esperto cronista, riguarda l’alto numero di Challenger in Italia, ovvero quei tornei internazionali di seconda fascia dove si confrontano giocatori che hanno bisogno di accumulare punti in classifica per poter poi accedere ai tabelloni principali dei tornei più importanti.

E’ il cosiddetto purgatorio del tennista, il girone dantesco più difficile. Sotto c’e’ solo l’inferno. Sopra si può aspirare a sognare il paradiso. “In Italia ce ne sono circa venti, un ottimo numero, e questo negli ultimi anni ha consentito a molti ragazzi di giocare e fare pratica senza viaggiare in giro per il mondo, con costi spesso insostenibili”.

La ragione principale è però legata al radicale cambio di prospettiva attuato della federazione italiana tennis, fortunatamente oggi molto meno miope di un tempo. “Diciamo la verità, la federazione per un lungo periodo non ha capito nulla”, racconta Ubaldo Scanagatta. “Per almeno un quindicennio hanno operato una distinzione netta tra giocatori sponsorizzati dalla federazione e quelli dei team privati, facendo la guerra a quest’ultimi invece di incentivarli. Anche Sinner recentemente ha fatto capire che non sia stato particolarmente aiutato in passato. Ma stesso discorso si potrebbe fare per Berrettini o Arnaldi. Con il risultato che dal 2004 fino a oggi un solo giocatore delle FIT è entrato tra i primi cento in classifica, e solo per un breve periodo. Fortunamente Angelo Binaghi (presidente della federazione, nda) l’ha capito, introducendo dei criteri oggettivi per aderire a un centro tecnico, ottenere un rimborso per l’allenatore, etc”.

Last but not least ha aiutato il fatto che l’Italia tennistica oggi ha 5 giocatori tra i primi cinquanta del mondo, tutti ragazzi compresi tra i 22 e i 23 anni, che si conoscono e giocano assieme da oltre un decennio. “Lo spirito di emulazione ha certamente contribuito. Vedere che uno di loro può battere il numero 10 del mondo aumenta la consapevolezza di tutto il gruppo e aiuta gli altri. Sinner ha aperto una strada. In fondo è successo così anche in Germania, dopo il successo di Becker, e in Svezia con Borg”. Chissà che ora non sia il nostro turno.