È sempre più vicino il momento dell’apertura dei seggi per il voto europeo. Lo spazio Visegrád contribuisce in modo rilevante agli spunti d’interesse forniti da questo test molto atteso.

In Ungheria la novità è rappresentata dal partito Tisza che si propone all’elettorato come alternativa al sistema concepito e guidato da Viktor Orbán. Tisza è il nome ungherese del fiume che noi chiamiamo Tibisco, un affluente di sinistra del Danubio. Da qualche tempo, non troppo per la verità, questo nome ha anche una valenza politica; è un acronimo che sta per Tisztelet és Szabadság Párt, ossia Partito del Rispetto e della Libertà.

Il suo leader è Péter Magyar, ex Fidesz, emerso di recente con le registrazioni che accusavano di corruzione personalità del sistema al potere. 43 anni, avvocato, diplomatico, uomo politico, Magyar sostiene di aver preso la decisione di sfidare il governo per il bene dei suoi connazionali, per riportare nel paese pace, concordia e chiudere con il clima d’odio e di divisione dovuto all’esecutivo fidessino.

Nei mesi scorsi ha esortato la gente a scendere in piazza contro il governo e a dar vita a manifestazioni che sono risultate discretamente partecipate. Il suo partito intende battersi contro la corruzione, guarda al Ppe ed è visto con speranza da quanti, in Ungheria, vorrebbero un cambiamento dopo quattordici anni di potere orbaniano.

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C’è chi sostiene di cominciare a vedere le prime crepe nel sistema del leader danubiano e chi definisce Magyar l’astro nascente della politica ungherese. Bisogna esser cauti con i giudizi in quanto l’abilità politica di Orbán è nota e la sua costruzione non ha perso esattamente solidità, però la comparsa di questo personaggio e del suo partito è senz’altro uno spunto d’interesse che va seguito con attenzione.

Anche perché i sondaggi premiano l’iniziativa; è vero che c’è una certa distanza fra Tisza e il Fidesz ma come esordio non c’è male. Dei sondaggi pubblicati giorni fa dal sito index.hu mostrano che il Fidesz si attesta sul 45% e potrebbe ottenere 11 seggi, uno in meno di quelli conseguiti cinque anni fa, Tisza sarebbe sul 25% e potrebbe aspirare a 6 seggi, mentre il gruppo di centro e centro-sinistra costituito da Coalizione Democratica (Dk), socialisti (Mszp) e Dialogo per l’Ungheria (Pm), arriverebbe a 4 seggi.

Ci sono poi da tenere d’occhio le comunali che vedono impegnato tutto il paese: si vota a Budapest e nelle altre città. Diversi esperti prevedono una rielezione del sindaco uscente Karácsony ma con prospettive di governo cittadino meno agevoli di prima. Tutto questo in un paese che mostra notevoli problemi economici e una buona dose di malcontento da parte di settori tutt’altro che esigui della popolazione.

In Slovacchia, com’è noto, non tira aria buona. Il premier Robert Fico è stato vittima di un attentato che lo ha ferito gravemente; ora il politico si sta curando a Bratislava, e il paese offre di sé l’immagine di una realtà divisa, percorsa da forti tensioni e lacerazioni sociali, politiche. Si dice che la disinformazione imperversi e che media compiacenti col potere raccontino che l’Occidente stia cercando di influenzare l’opinione pubblica slovacca con l’aiuto della Cia e delle Ong; alcuni organi di stampa europei affermano che la società slovacca è polarizzata e divisa fra filorussi e filoccidentali.

Questa è certo una schematizzazione e viene da dire che anche nel caso in oggetto la realtà è più complessa e articolata di quanto tale schema non voglia suggerire. I sondaggi danno in vantaggio Smer-Sd (Direzione Socialdemocrazia), il partito del premier, seguito da Slovacchia Progressista (Ps) e da Hlas-Sd (Voce Socialdemocrazia), del presidente Pellegrini.

In definitiva il paese non sta trascorrendo uno dei periodi più sereni della sua breve storia e il premier, apparendo in video per la prima volta dopo l’attentato, si è detto pronto a tornare al lavoro a giugno. Riferendosi al suo attentatore ha detto che non intraprenderà azioni legali contro di lui, e l’ha definito “messaggero del male e dell’odio politico che l’opposizione fallita e frustrata ha sviluppato in Slovacchia in proporzioni inimmaginabili”.

In Polonia il premier Tusk è all’opera con la sua compagine di governo, impegnato a ricucire pienamente i rapporti con l’Ue dopo gli otto anni di governo ultraconservatore e nazionalista di Diritto e Giustizia (PiS). La Commissione europea approva e non sembra più vedere nella Polonia il pericolo che era all’epoca del PiS, a lungo concentrato nel braccio di ferro ingaggiato con Bruxelles. Tusk procede sulla strada delle riforme ma non ha vita così facile, così come non è facile il suo rapporto col presidente Duda, esponente dell’ex partito di governo. I sondaggi vedono in testa Piattaforma Civica (PO) del premier, ma il PiS tiene le posizioni e la distanza tra i due soggetti politici non sembra poi così grande.

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Ano 2011, ossia il Partito dei Cittadini Insoddisfatti dell’ex premier Andrej Babiš e l’Ods, il Partito Civico Democratico, formazione liberal-conservatrice che guida il governo di Praga, risultano essere le due principali forze politiche del paese. Ultimamente, rispetto agli altri tre membri del Gruppo di Visegrád (V4), la Repubblica Ceca è stata meno sotto i riflettori della stampa internazionale. Il suo presidente, Petr Pavel, un ex militare, è in carica dal marzo dello scorso anno e mostra di muoversi in discontinuità rispetto al suo predecessore. Ritiene che l’Occidente avrebbe dovuto rispondere con maggior vigore di fronte al conflitto scoppiato in Ucraina. Si definisce di centro e di destra con una grande attenzione al sociale.

Ultimamente Praga ha fatto parlare meno di sé a paragone di Budapest, Varsavia e Bratislava che, chi per un motivo, chi per un altro, hanno contribuito maggiormente al racconto dell’attualità europea, spesso all’insegna di vicende complesse, fino ad arrivare all’attentato a Fico. Tra poco è il momento di dare la parola agli elettori, il resto si vedrà.