Siamo abituati a pensare che con l’appressarsi della battaglia campale il capo debba mostrarsi alle truppe, motivarle, ricordargli per cosa combattono. Con toni meno epici e senza la musica di sottofondo è quanto stanno facendo i presidenti russo e ucraino negli ultimi giorni.

Zelensky si dice commosso dalla resistenza ucraina, si è recato al confine con la Bielorussia per elogiare le guardie di frontiera e ha chiesto ai suoi di resistere ancora un poco affinché i preparativi per l’annunciatissima controffensiva primaverile si concludano. Putin visita le posizioni difensive del sud e del Lugansk e appunta medaglie sul petto di quelli che chiama i «difensori della madre patria» contro i tentativi della Nato di distruggere la Russia.

DUE ATTEGGIAMENTI diversi per ottenere lo stesso obiettivo: vincere la stanchezza di chi combatte al fronte. Non già una vittoria nel senso stretto del termine, perché ormai abbiamo capito che la guerra in Ucraina nonostante le trincee e i grandi ideali che ammiccano alle guerre ottocentesche, di romantico ha ben poco. Siamo in una fase delicatissima e la tenuta delle forze armate è legata anche alla motivazione psicologica dei combattenti al fronte.

Del resto sono mesi che leggiamo titoli su quanto le forze russe siano vicine al collasso, sul rischio costante che l’apparato militare del Cremlino si sfaldi da un momento all’altro. Ma lo sfaldamento non è avvenuto e, almeno finora, non sembra in vista, malgrado le decine di migliaia di morti. E quindi dalle visite dei due leader si possono trarre almeno due conclusioni.

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PRIMO: AL MOMENTO il Donbass resta il nodo gordiano del conflitto. La presidenza ucraina ha scelto di mostrarsi ad Avdiivka, dove i russi hanno tentato di sfondare durante l’assedio di Bakhmut martellando con un pesante fuoco d’artiglieria per giorni e ottenendo scarsi risultati. La cittadina è parte di quei piccoli centri che potremmo definire di frontiera dal 2014, a poca distanza dal confine informale tra l’Ucraina e i territori separatisti del Donetsk e del Lugansk.

Per ora Avdiivka resiste, a poca distanza i morti non si contano più e qui si obbligano le famiglie con bambini a evacuare. Ma la tenuta della cintura che lo Stato maggiore ucraino ha costruito intorno a Bakhmut non deve scricchiolare e una visita del capo serve proprio a ribadire questo semplice concetto, riassunto da alcuni analisti con una frase che ha il sapore di un’epigrafe «se il Donbass crolla, tutta l’Ucraina crolla».

Dall’altro lato la delegazione russa guidata da Putin si è mostrata nel Lugansk, ovvero nella regione separatista quasi interamente (si parla di percentuali che oscillano tra l’88 e il 97%) controllata dalle truppe russe. «Avete restituito la libertà a un popolo oppresso dal regime nazista di Kiev» avrebbe detto Putin, citato dalle agenzie di Mosca, e, come a Mariupol qualche settimana fa, ha visitato alcuni edifici ricostruiti dall’amministrazione occupante.

Per ora i suoi uomini tengono la regione saldamente, ma un eventuale sfondamento della controparte verso Severodonetsk o Lysychansk metterebbe in serio pericolo le conquiste territoriali russe. Per questo si sono scavate trincee, erette nuove fortificazioni e preparato tre, forse quattro linee difensive a distanza di poche decine di chilometri.

A PROPOSITO di linee difensive, da qui nasce la seconda visita di Putin, quella nella zona orientale di Kherson. Gli ucraini non nascondono la voglia di tagliare a metà lo schieramento russo nel sud e per farlo la tenuta di Kherson est sarà fondamentale. E da qui nasce la seconda conclusione. Gli aggressori si arroccano in difesa ma i difensori esitano ad avanzare. A breve quest’attesa finirà e la guerra in Ucraina entrerà in una nuova fase.