Il «cuore caldo» di Jens Stoltenberg contro la «mente fredda» di Boris Pistorius. Emergono nette dal terzo summit del Gruppo di contatto sull’Ucraina a Ramstein le due opposte prospettive dell’Ovest sempre meno in formato blocco.

Da una parte il segretario generale della Nato assicura «l’accordo unanime per l’ingresso di Kiev nella Nato» mentre pressa gli alleati per il via libera all’invio di caccia con tecnologia occidentale a Zelensky; dall’altra il ministro della Difesa tedesco congela il suo piano di allargamento ricordando come «non è ora il momento di decidere» se non sui punti già concordati, tra cui spicca il ritorno in Germania entro giugno del sistema missilistico “Patriot” prestato alla Polonia.

In mezzo, il padrone di casa della base aerea in Renania-Palatinato, il segretario alla Difesa Usa, Lloyd Austin (così è formalmente) incaricato dal presidente Biden di trovare la quadra del “formato Ramstein” perché «l’Ucraina ha urgente bisogno del nostro aiuto».

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DECIFRATO dalla nota ufficiale del segretario Usa secondo cui «il Gruppo di contatto è più unito e globale» e fatto collimare con la lista precompilata a Washington prima del summit, significa che la Nato più che sulle ennesime “Wunderwaffen” in grado di rovesciare le sorti della guerra deve concentrarsi a risolvere i tre problemi noti a tutti: difesa aerea, munizioni e logistica. «Questo è ciò che serve prima possibile agli ucraini per poter resistere ai russi» è l’ordine di Austin che riassegna le priorità non a caso coincidenti con i recenti leaks dei documenti top-secret Usa.

Infatti sul tavolo di Ramstein ieri spiccava soprattutto il nodo dei rifornimenti ma nel senso della catena logistica. Lo conferma il ministro della Difesa di Kiev, Oleksii Reznikov soddisfatto per il risultato incassato: «Abbiamo avuto un’ eccellente discussione. Sono lieto sia stata data luce verde alla nostra stretta collaborazione con la Nspa, l’agenzia di approvvigionamento della Nato. Ciò includerà la revisione degli appalti e la consulenza del ministero della Difesa ucraino» conferma il numero due del governo Zelensky, a riguardo rassicurato da Stoltenberg già al vertice di Vilnius.

COME SEMPRE il formato Ramstein ha fatto il punto sui costi del sostegno bellico all’Ucraina. Austin ha ricordato l’equivalente di 32 miliardi di euro stanziati dall’inizio dell’invasione di Putin prima di confermare il 36esimo pacchetto di aiuti Usa pari a circa 300 milioni di euro con cui Kiev riceverà altre munizioni da 105 e 155 millimetri, mine anti-tank e soprattutto i lanciarazzi Himars di cui proprio ieri Rheinmetall e Lockheed-Martin hanno annunciato l’accordo per la produzione congiunta nelle fabbriche tedesche.

SOTTO IL PROFILO industriale la Germania resta il partner imprescindibile per lo sforzo bellico Nato, a cominciare dalla questione dei Leopard tutt’altro che risolta. Ieri a metà del summit Pistorius, Reznikov e l’omologo polacco Mariusz Blaczcak hanno aggiornato il cronoprogramma dei Leopard 2 promessi: finora Berlino ha consegnato solo 18 carri mentre Danimarca e Paesi Bassi ne hanno promessi a Kiev 14 però arriveranno all’inizio del 2024, decisamente fuori tempo massimo per la prevista controffensiva nel Donbass.

DETTAGLI TATTICI da cui dipende l’intera strategia Nato basata sulla sostenibilità materiale degli aiuti bellici. Sia Austin che Stoltenberg hanno sottolineato l’importanza di mantenere operativi i mezzi consegnati, mentre Pistorius aveva affrontato il problema giovedì sera sulla tv pubblica con un messaggio inequivocabile agli alleati: «In Germania abbiamo i costosi centri di riparazione per sistemi come il veicolo da combattimento per la fanteria Marder, i Leopard e gli obici semoventi 2000. Chi paga?

Temo che a Ramstein dovrò andare in giro con la borsa per la raccolta» è la gag del ministro tedesco, e non è una battuta ma una richiesta. Mercoledì il governo Scholz ha consegnato alle forze armate di Kiev il secondo sistema missilistico Iris-T. Anche per questo Pistorius può permettersi di dire a Stoltenberg: «Per Kiev la porta della Nato è socchiusa ma ora non è il momento. Valuteremo alla fine della guerra mossa dalla Russia non per solidarietà ma a mente fredda e cuore caldo. Non viceversa».