Prima dell’inizio della guerra in Ucraina, Vika raccontava su Instagram come viveva la sua famiglia Lgbtq+ in Russia, dove le coppie dello stesso sesso non possono sposarsi e le adozioni sono vietate per legge. Dal 24 febbraio 2022 ha iniziato anche a parlare di guerra, mentre il governo stabiliva il divieto di usare questa parola.

Una foto sulla sua bacheca ritrae lei, la sua compagna Marina e la figlia abbracciate mentre tengono in mano la bandiera ucraina. Così è iniziata la bufera di minacce e segnalazioni: «Hanno fatto trapelare tutti i nostri dati, indirizzi, documenti e numeri di telefono su Telegram», racconta Vika. Fino a quando non è arrivata la prima perquisizione: «Stavamo aspettando che arrivasse un corriere. Mi ha chiamato, diceva che sarebbe arrivato nel giro di un minuto e di aprirgli la porta. Quando ho aperto, c’erano due agenti di polizia e uno del servizio di protezione dei minori».

Dopo che anche un agente del dipartimento investigativo si è presentato a casa loro, Vika e Marina hanno fatto i bagagli e hanno preso contatti con chi potesse aiutarle. Grazie alla raccolta fondi iniziata su Instagram, sono riuscite a comprare i biglietti per fuggire in Georgia e da lì hanno raggiunto Berlino con il visto umanitario. Si tratta di un caso molto raro, ma la Germania è uno dei pochi paesi dove le persone Lgbtq+ in fuga dalla repressione russa trovano accoglienza come rifugiati.

A Berlino, dal 2011 è attiva Quarteera, un’associazione no profit rivolta a persone queer russofone che da febbraio 2022 accoglie anche persone della comunità Lgbtq+ in fuga dalla guerra, offrendo supporto psicologico e legale. Molti degli stessi volontari dell’ong provengono da paesi dell’ex blocco sovietico dove i diritti Lgbtq+ sono minacciati, come Bielorussia e Kazakistan. È qui che Vika e la sua famiglia hanno trovato aiuto.

Tra gli ospiti di Quarteera ci sono soprattutto attivisti, giornalisti e famiglie con bambini che hanno subito gravi episodi di omofobia o transfobia, intimidazioni o arresti per il loro orientamento sessuale e la loro identità di genere dall’inizio della guerra in Ucraina e a seguito dell’inasprimento della legge contro la “propaganda Lgbtq+” in Russia.

Le persone lesbiche, gay, bisessuali o transgender hanno il diritto di chiedere protezione internazionale a causa di persecuzione ai sensi della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati. Ma dimostrare di essere gay o transgender non è una garanzia di asilo. È necessario dimostrare che esiste un pericolo specifico per la propria vita nel paese da cui si vuole fuggire. Anche per questo, ricevere il visto umanitario che Vika, Marina e la figlia hanno ottenuto è complesso.
«In Germania, questo documento viene rilasciato al massimo 10 o 20 volte l’anno in casi unici – spiega la coordinatrice di Quarteera, Svetlana Shaytanova – ma grazie a un meticoloso lavoro di lobby e di fronte alla mobilitazione in Russia, siamo riusciti a stabilire una collaborazione con il ministero degli affari interni che ci ha permesso di far approvare 40 visti umanitari per attivisti e famiglie queer con bambini provenienti dalla Russia».

Dall’inizio della guerra, Quarteera ha accolto anche circa 3000 persone queer ucraine fornendo beni di prima necessità, alloggio temporaneo e consulenza legale gratuita. Gli ucraini rifugiati hanno riferito di essersi sentiti particolarmente esposti a minacce a causa della presenza dell’esercito russo e successivamente nei paesi dell’Est in cui si sono trasferiti durante la fuga, dove la tutela dei diritti Lgbtq+ è debole o inesistente.

Anche in Ucraina, però, le condizioni di vita non erano del tutto favorevoli prima dell’invasione. Alcuni rifugiati hanno raccontato che non si sentivano liberi di esprimere il loro orientamento sessuale né la loro identità di genere. Come Kirill, giornalista e regista di Kiev. Dopo aver attraversato il confine con la Polonia, nella primavera scorsa è arrivato in Germania, dove solo ora, all’età di 44 anni, vive apertamente la propria omosessualità. «In Ucraina non mi sono mai sentito parte di una comunità», racconta. «Non avevo mai detto a nessuno di essere gay e ho sempre mantenuto segreta la mia relazione». Il motivo era il suo lavoro: «Come giornalista professionista, dichiararmi gay era impensabile».

Oggi, attraverso l’ong di Berlino rifugiati russi e ucraini si aiutano a vicenda. Alcuni di loro sono diventati volontari e offrono a loro volta supporto e informazioni a chi cerca di raggiungere l’Europa. Tra loro c’è Tanya, che sta cercando di ricongiungersi con la compagna e alcuni amici rimasti a Kiev: «Un mio amico è gay e al momento non gli è permesso lasciare il paese. È sieropositivo ed è molto preoccupato. Soprattutto, non vuole sparare alle persone arruolandosi nell’esercito. Vorrei aiutarlo, ma non è così facile».