Il segno securitario del nuovo governo di Hong Kong si è affermato già prima dell’insediamento del neo «eletto» Chief executive John Lee, l’ex segretario alla sicurezza che ha dato impulso alla legge sulla sicurezza nazionale. La norma, che ha mandato in carcere almeno 175 attivisti, fa segnare un’ennesima vittoria al governo di Hong Kong e Pechino. Nella giornata di ieri diversi volti noti della società civile e opposizione sono stati arrestati per aver violato la draconiana legge imposta dalla Cina nel 2020. Il cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong ormai in pensione, è stato arrestato dalla polizia insieme all’ex parlamentare dell’opposizione Margaret Ng e alla popstar Denise Ho per collusione con le forze straniere, uno dei reati previsti dalla legge sulla sicurezza nazionale.

Il 90enne Zen, volto dell’autonomia di Hong Kong e della Chiesa Cattolica, è stato rilasciato su cauzione poche ore dopo l’arresto. Ma le accuse non cadono e gli accusati rischiano fino all’ergastolo. I tre erano tra i cinque amministratori del 612 Humanitarian Relief Fund, un fondo istituito per offrire assistenza ai cittadini coinvolti nelle proteste antigovernative nel 2019. Un quarto fiduciario del fondo, l’accademico Hui Po Keung, è stato arrestato lo scorso martedì sempre con l’accusa di collusione con forze straniere.

Il fondo ha raccolto circa 31,2 milioni di dollari per offrire assistenza finanziaria, legale e psicologica a coloro che erano finiti nel mirino delle autorità di Hong Kong per aver manifestato, sebbene questo sia un diritto riconosciuto dalla mini-costituzione dell’ex colonia britannica. Il conto è stato però chiuso lo scorso anno, dopo che la polizia di Hong Kong ha aperto un’indagine per il rifiuto degli amministratori di fornire i documenti relativi ai donatori e beneficiari del 612 Humanitarian Relief Fund. Ma se l’ennesima stretta sulle attività delle organizzazioni per la difesa dei diritti civili rientra nella consueta deriva sinizzante di Hong Kong, l’arresto del prelato Zen rischia di incrinare ulteriormente i rapporti tra Santa Sede e Partito Comunista Cinese.

La notizia dell’arresto del Zen ha destato la preoccupazione del Vaticano, che nel 2018 ha siglato con Pechino un accordo sulla nomina dei vescovi in Cina, di cui non sono noti dettagli. L’opposizione a quell’intesa, rinnovata nel 2020, è stata incarnata proprio dallo stesso Zen: l’anziano prelato, sostenitore dei diritti civili a Hong Kong e in Cina, ha provato ad avere un confronto a Roma con Papa Francesco per evitare che la Chiesa si svendesse alla Cina. Incontro che non c’è mai stato.

Il prossimo ottobre la delegazione cinese e quella vaticana dovrebbero riunirsi nuovamente per decidere se rinnovare l’accordo. Ma l’arresto di Zen potrebbe mettere in discussione la firma dell’intesa. E, soprattutto, la detenzione rischia di far allontanare la Santa Sede dal suo obiettivo di assicurare protezione ai fedeli e ai prelati che non si riconoscono nei dettami del Pcc.