Guerra ucraìna, Giorgia Meloni solo «para bellum»
Analisi La presidente del Consiglio esclude le possibilità della pace e mostra così di non conoscere il pensatore di destra Carl Schmitt che metteva in guardia contro la guerra mondiale a pezzi
Analisi La presidente del Consiglio esclude le possibilità della pace e mostra così di non conoscere il pensatore di destra Carl Schmitt che metteva in guardia contro la guerra mondiale a pezzi
La presidente del Consiglio, nella sua risposta al Parlamento rispetto al conflitto tra Russia e Ucraina assume la famosa sentenza di Vegezio: si vis pacem para bellum.
In altre parole, se si vuole sostenere un processo di pace «giusto» – naturalmente senza mai proferire la parola «cessate il fuoco» o dire chi ne dovrebbe essere il protagonista, se non addirittura definire come fa qualcuno in tv «delirante» la missione del cardinale Zuppi a Mosca» – , bisogna mantenere il conflitto, continuare a fare la guerra, sino ad arrivare ad un sostanziale equilibrio tra le parti. Ora, considerando i contendenti, così facendo si sposta pericolosamente in avanti quel «limite ignoto», tante volte evocato da questo giornale.
E ALLORA, A TAL PROPOSITO, cerchiamo di fornire alla premier Meloni alcuni elementi analitici, che traiamo da Carl Schmitt, costituzionalista caro alla destra, e tuttavia pensatore di grande profondità e lucidità quando si trattava di esaminare le costanti della Storia e le relazioni geopolitiche che da esse nascevano. In particolare, nel suo Nomos della Terra, con una anticipazione quasi visionaria, descrive minuziosamente, dopo la messa al bando formale della guerra da parte delle Nazioni Unite, l’avvento di una varietà di conflitti asimmetrici che sfocerebbero ad un certo punto, a suo dire, in una vera e propria «guerra civile globale» (Weltbürgerkrieg).
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Alla fine i nodi vengono al pettineQUESTA «ABISSALE conclusione», come egli stesso la definiva, nasce dalla constatazione che non basta certo abolire la guerra come formalismo giuridico per evitarla nella realtà dei fatti storici, anzi: proprio perché la guerra non è più, secondo al celebre definizione di Clausewitz, «la prosecuzione della politica con altri mezzi», in altre parole regolata da norme chiare e condivise dai belligeranti, ecco il moltiplicarsi di conflitti di ogni genere; è, in fondo l’anticipazione di quella «guerra mondiale a pezzi» di cui parla papa Francesco, che non a caso ha inviato il presidente della Cei Zuppi in missione di pace.
E allora, di fronte a questo possibile scenario, oggi richiamato dall’attualità dalla «operazione speciale» della Russia in Ucraina con le temute implicazioni globali, l’esigenza è quella di «ripensare le guerre», ridefinirle cioè in un quadro organico che possa dare una visione complessiva di ciò che, di fatto, appartiene ad uno scenario che le forze conservatrici vorrebbero imporre anche con la forza di una «guerra globale costituente».
A questo proposito riportiamo le riflessioni di Schmitt sull’entrata degli Usa nella Prima Guerra Mondiale. Sono le motivazioni «umanitarie» quelle che lo colpiscono di più; infatti, Wilson impegna gli Stati Uniti contro «la guerra tedesca, condotta contro tutte le nazioni del mondo, ovvero contro l’umanità». Questo giudizio spinge il presidente americano ad impegnare la sua nazione per «garantire attivamente la libertà dei popoli e la pace mondiale».
A PARTIRE DA QUESTA analisi, dove sono già contenuti tutti gli elementi portanti della fase geopolitica che stiamo vivendo – denuncia di una guerra di una parte contro tutta l’umanità, il relativo giudizio di condanna morale, la volontà di portare libertà e pace a tutti i popoli della terra contrastando il nemico – la Germania veniva dichiarata hostis generis humani – espressione sino ad allora normalmente usata per la criminalità organizzata internazionale come la pirateria – e dunque considerata un nemico nei confronti del quale «la neutralità non è né moralmente legittima né praticabile».
Le riflessioni di Schmitt si compongono in una finale, apocalittica profezia: l’avvento di una «guerra totale asimmetrica e di annientamento». Queste riflessioni sembrano scaturite da un think tank che prenda in oggettiva considerazione ciò che sta avvenendo a livello globale. E a maggior ragione Schmitt si oppone all’idea di chi presenta le proprie guerre come guerre condotte in nome e a vantaggio di valori comuni all’intera umanità. E allora, che fare?
PRIMA DI TUTTO EVITARE evidentemente di creare, tenendo ben presente questo quadro, la possibilità che nuovi conflitti scoppino. Prevenire è meglio che curare, e dunque continuare a sottrarre risorse agli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile, come sostengono gli aderenti alla Campagna 070 e all’ASVIS, che richiederebbero per combattere, questo sì, la povertà, l’analfabetismo i cambiamenti climatici, e dunque le cause principali delle guerre di oggi e domani, per sostenere la corsa agli armamenti, è criminale ed insensato.
Secondo, asciugare con una convinta azione multilaterale gli stagni melmosi dei vari conflitti regionali, spesso guerre per procura, che spesso nascono proprio da situazione di mancato sviluppo, di promesse di aiuto non mantenute, da interessi oscuri che prosperano nel caos. Terzo, ma non ultimo, ridare alle Nazioni Unite il ruolo di garante della sicurezza globale, non depotenziandola a favore di alleanze militare parziali, ma di un corpo di pace stabile e politicamente sostenuto, in grado non di fallire miseramente ma dimostrare che, come per una guerra comune vinta da tutta l’umanità, quella contro il Covid, il dialogo può essere più risolutivo delle armi.
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