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Greenwash di stato. In Francia e non solo

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Attenti ai dinosauri Strani questi conservatori francesi. Poco dopo essere stato eletto presidente della Repubblica, Sarkozy fece una mossa imprevedibile: costituì una commissione che doveva indagare sulla validità del PIL come indicatore del […]

Pubblicato più di un anno faEdizione del 18 aprile 2023

Strani questi conservatori francesi.

Poco dopo essere stato eletto presidente della Repubblica, Sarkozy fece una mossa imprevedibile: costituì una commissione che doveva indagare sulla validità del PIL come indicatore del benessere e del progresso sociale. Questa commissione era guidata da tre grandi economisti, Jean-Paul Fitoussi e i premi Nobel Joseph Stiglitz e Amartya Sen, assistiti da un numero di altri soggetti di alto valore scientifico.

Nel 2010 ne venne fuori un rapporto1, da cui il PIL usciva con le ossa rotte e le cui conclusioni furono interamente sposate da Sarkozy stesso, tanto che – nella prefazione – scrisse: “Per anni le statistiche hanno dipinto una crescita economica sempre più forte come una vittoria sulla scarsità, finché non è emerso che questa crescita metteva in pericolo il futuro del pianeta e distruggeva più di quanto creasse… Se nei nostri conti non diamo valore alla qualità del servizio pubblico; se rimaniamo ancorati a un indice di progresso economico che comprende solo ciò che viene creato e non ciò che viene distrutto; se guardiamo solo alla produzione interna lorda, che aumenta quando c’è un terremoto, un incendio o un disastro ambientale; se non deduciamo da ciò che produciamo ciò che consumiamo nel corso della produzione; se non includiamo le bozze che stiamo disegnando sul futuro; se non teniamo conto di come l’innovazione stia accelerando il deprezzamento del capitale, come possiamo pensare di renderci conto di ciò che stiamo realmente facendo e di affrontare le nostre responsabilità?”

Sembra di risentire il famoso discorso di Bob Kennedy all’Università del Kansas nel 1968. Parole del tutto imprevedibili in un politico di centro-destra.

Coerentemente con la storia del lupo, del pelo e del vizio, naturalmente in Francia il PIL continuò ad essere il fulcro della politica economica.

Facciamo un salto temporale e veniamo a Macron.

Poco meno di 10 anni dopo, nell’ottobre 2019 avvia una iniziativa di grande rilievo, sia di contenuto che metodologico. Attraverso il primo ministro Édouard Philippe, istituisce la Convenzione dei cittadini sul clima, un’assemblea di cittadini costituita da 150 uomini e donne, estratti a caso dalla popolazione francese, il cui compito è quello di rispondere alla domanda: “Come possiamo ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 40% entro il 2030, rispettando la giustizia sociale?”. Oggi la domanda sarebbe modificata nel senso che l’obiettivo al 2030 è stato spostato dall’Ue al 55%, ma con questo nuovo obiettivo le conclusioni a cui è giunta la Convenzione dei cittadini ne uscirebbero rafforzate.

I partecipanti alla Convenzione erano cittadini liberi, indipendenti da qualsiasi partito o influenza, uomini e donne di età compresa tra i 16 e gli 80 anni, di ogni provenienza e professione.

Furono selezionati per sorteggio in base a una generazione casuale di numeri telefonici, senza essersi offerti in precedenza, in modo da formare un’immagine della società francese in grado di rappresentare l’intera popolazione. Non erano esperti, ma cittadini come tutti gli altri, rappresentativi della diversità della società. Si avvalsero di scambi con esperti e rappresentanti dell’economia, delle associazioni e del settore pubblico, per poter elaborare misure concrete, con cognizione di causa e in totale indipendenza.

Un approccio che può anche essere un test di un modello diverso di ascoltare la volontà dei cittadini, più informato e più vantaggioso di un referendum a suffragio universale che, per argomenti complessi come quello della crisi climatica, finisce per essere governato dalla capacità (mediatica ed economica) di condizionare un elettorato sostanzialmente impreparato sull’argomento.

Il rapporto finale dei lavori è stato presentato nel giugno del 2020, dopo meno di otto mesi. Leggendolo, impressiona la capacità di assimilazione, da parte dei componenti la Commissione, degli elementi centrali della problematica ambientale e di metterli insieme con approccio sistemico.

Il rapporto, infatti, evidenzia il forte impatto che sull’ambiente hanno le abitudini di consumo, per cui cambiare il comportamento dei consumatori è indicato come fattore essenziale per raggiungere l’obiettivo di decarbonizzazione indicato. Bisogna avviarsi tutti, si sottolinea, verso un consumo sobrio e più virtuoso dal punto di vista ambientale, indipendentemente dal potere d’acquisto. Non deve essere una costrizione, né un lusso, né un atto militante, e non deve basarsi solo sul consumatore, ma anche su una profonda trasformazione dei metodi di produzione e distribuzione.

In quest’ottica, la Convenzione è arrivata alla conclusione che l’informazione, l’educazione e la sensibilizzazione sono leve potenti ed efficaci per apportare cambiamenti duraturi e sostenibili alla società del futuro, agendo al contempo con rapidità per incoraggiare cambiamenti nei comportamenti quotidiani. Nel rapporto sono pure indicate alcune azioni-chiave da mettere in atto:

  1. Fare dell’educazione, della formazione e della sensibilizzazione le leve per un consumo responsabile;
  2. Creare l’obbligo di indicare l’impatto di carbonio di prodotti e servizi;
  3. Regolamentare la pubblicità per ridurre gli incentivi al consumo eccessivo;
  4. Limitare l’eccesso di imballaggi e l’uso di plastica monouso sviluppando imballaggi sfusi e depositi nei punti di distribuzione;
  5. Incoraggiare la sobrietà digitale per ridurre l’impatto ambientale;
  6. Garantire una migliore attuazione delle politiche pubbliche ambientali e valutarle per renderle più efficaci;

In particolare, nel settore mobilità e trasporti:

  1. Modificare l’uso dell’auto individuale, abbandonando l’uso dell’auto da sola e proponendo soluzioni alternative al modello dominante;
  2. Ridurre e ottimizzare il trasporto di merci su strada, consentendo un trasferimento modale verso la ferrovia e/o le vie d’acqua;
  3. Aiutare la transizione verso un parco veicoli più pulito, regolamentando i veicoli dichiarati idonei all’uso e accelerando la transizione rispetto a quanto previsto oggi;
  4. Agire a livello locale con le aziende e le amministrazioni per organizzare meglio gli spostamenti;
  5. Limitare gli effetti negativi del trasporto aereo.

Per quanto riguarda gli edifici, che costituiscono la causa più importante di emissioni di gas serra, per ridurle sono state individuate le seguenti azioni:

  1. Rendere obbligatoria una ristrutturazione energetica completa degli edifici entro il 2040.
  2. Combattere l’artificializzazione del territorio e l’espansione urbana rendendo attraente la vita nelle città e nei villaggi.

Azioni sono pure necessarie, si dice nel rapporto, per quanto riguarda la produzione e il consumo degli alimenti. Per garantire la salute dei cittadini e quella dell’ambiente: entro il 2030 il piatto dei francesi dovrà includere il 20% in meno di carne e latticini, più frutta e verdura, legumi e cereali e che l’agricoltura dovrà essere basata su pratiche agroecologiche, abbandonando il modello attuale.

Nel rapporto si sottolinea che non si vuole imporre alle persone cosa devono consumare. Si vuole piuttosto garantire che tutti abbiano accesso alle giuste informazioni sull’impatto sul clima e sulla salute delle loro scelte di acquisto o di consumo; che la scelta dei prodotti adatti sia resa facile e accessibile a tutti; che i produttori siano aiutati e sostenuti ad adattare le loro pratiche per organizzare un’offerta adeguata alle nuove esigenze.

Il rapporto afferma pure che la transizione verso una società a basse emissioni di carbonio implica una completa trasformazione dell’apparato produttivo e delle professioni, perché occorre:

  1. Promuovere una produzione più responsabile, sviluppare canali di riparazione, riciclaggio e gestione dei rifiuti;
  2. Aggiungere l’impronta di carbonio alla contabilità di tutte le strutture che devono produrre un bilancio;
  3. Garantire produzione, stoccaggio e ridistribuzione di energia per e da tutti.
  4. Sostenere l’evoluzione della tecnologia digitale per ridurne l’impatto ambientale.
  5. Considerare meglio le emissioni di gas serra legate alle importazioni nelle politiche dell’UE.
    Proteggere gli ecosistemi e la biodiversità.
  6. Fare della lotta al cambiamento climatico un obiettivo della Repubblica.

Queste le conclusioni della Convenzione dei cittadini sul clima. Conclusioni avanzate, coraggiose, in linea con le indicazioni della comunità scientifica e, soprattutto, totalmente elaborate dai cittadini, come risultato della acquisizione di conoscenze e di consapevolezza ambientale.

Si conferma in modo eclatante che la transizione energetica stenta a compiersi principalmente perché la popolazione non è informata sulla sua necessità.

Questa volta, contrariamente a quanto avvenuto col rapporto sul PIL, qualcosa si sta muovendo, in Francia, più che in altri paesi dell’UE. Qualcosa che è però ben lontano da quello che la Convenzione suggerisce.

È operativo il “diritto alla riparazione”, che impone a un certo numero di prodotti una etichettatura con stelle in funzione della sua riparabilità e l’obbligo di fornire i pezzi di ricambio fino a 10 anni dopo l’uscita di produzione; persino Apple si è dovuta adeguare.

Inoltre è stato introdotto un bonus riparazione che permette di ricevere, con uno sconto in fattura, un importo pari a circa il 20% del costo medio per una riparazione.

È stata imposto nei supermercati alimentari l’obbligo di avere almeno il 20% della superficie espositiva destinata a prodotti sfusi ed è stato vietato l’imballaggio con cartone e plastica di un certo numero di prodotti ortofrutticoli.

Sul piano dei trasporti c’è l’esempio di Parigi, con la “città dei 15 minuti”, che mira a ridurre sempre più l’uso dell’auto, grazie al fatto che i servizi di uso più frequenti devono tutti trovarsi a non più di 15 minuti a piedi da ogni abitazione. Ma non solo, c’è anche l’obbligo di eliminare le tratte aeree sostituibili con una tratta ferroviaria con un viaggio che non duri più di tre ore.

A parte queste iniziative, comunque, non si può certo dire che la Francia sia campione di sostenibilità, basti pensare al suo parco di centrali nucleari, ma certamente c’è una base che preme verso un percorso di sostenibilità. Infatti le conclusioni della convenzione dei cittadini sul clima sono state sostanzialmente condensate in una parte del programma politico di Mélenchon alle ultime elezioni, quello relativo alla biforcazione (come giustamente chiama lui la transizione) ecologica e sociale, con un insperato successo, specialmente nella fascia di età più giovane degli elettori.

Sembra proprio che Macron, come Sarkozy, non abbia imparato niente dalla iniziativa che ha promosso, perché non ha colto che sostenibilità ambientale e sostenibilità sociale vanno insieme, come invece ha capito Mélenchon, e così ora si ritrova con una specie di rivolta popolare permanente perché si ostina a continuare a togliere a chi ha poco o niente e lasciare indisturbato chi invece ha molto, troppo.

Hanno dimostrato, però, di essere maestri del greenwash: grandi annunci, azioni reali poche o nessuna, anzi spesso in direzione opposta.

Se Atene piange, Sparta non ride, e così se guardiamo in casa nostra troviamo una situazione ben peggiore: la precisa volontà governativa di compromettere il Green Deal Europeo fino a farlo fallire, o uscire dall’Europa.

I segnali sono inequivocabili: no alle auto solo elettriche dopo il 2050; no alla riduzione delle emissioni del comparto edilizio; no alla riduzione della quantità di imballaggi, e quindi dei rifiuti e quindi no all’economia circolare; sì ad accordi per importare sempre più gas dall’Africa, quindi fare di tutto affinché il green Deal fallisca, sennò tutti i solti spesi nelle infrastrutture andrebbero persi.

E ora vogliono pure il nucleare, il fantomatico, finora inesistente, nucleare di IV generazione. E dal lato dei cittadini le cose non sembrano andare meglio: manca la percezione del legame fra qualità ambientale e qualità sociale, ed è questo il primo compito che dovrebbero darsi le istituzioni, prima fra tutte la scuola.

Durante il governo Draghi il Ministero dell’Istruzione aveva avviato il Piano RiGenerazione Scuola, che mirava proprio alla formazione di una consapevolezza ambientale e sociale completa. Naturalmente è congelato, probabilmente per sempre.

D’altra parte, finora ci sono state solo pochissime voci isolate, nell’ambito della sinistra, a dimostrare di avere consapevolezza dello stretto rapporto ambiente-società.

Ora, con la nuova segreteria, nel Pd sembra che le cose siano destinate a cambiare. Speriamo. Intanto sarebbe utile distribuire fra i parlamentari, almeno quelli di sinistra, una copia del rapporto finale della Convenzione dei cittadini sul clima. E poi interrogarli per verificare che abbiano studiato.

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