Nei territori periurbani delle grandi aree metropolitane italiane, ed in particolare a Roma, due aspetti appaiono fortemente caratterizzanti.

In primo luogo, registriamo una moltiplicazione delle forme di autorganizzazione e di protagonismo sociale che riguardano le periferie urbane e metropolitane prendendosi cura dei territori e sviluppando una serie di iniziative in campo sociale, culturale, ambientale, ma persino economico.

Sono fonti inesauribili di progettualità e spesso sviluppano vere e proprie “politiche pubbliche” autoprodotte articolando i propri interventi in forma integrata e con una prospettiva di lungo periodo che mira a costruire un modello alternativo di sviluppo.

In secondo luogo, l’agricoltura periurbana costituisce un’attività diffusa e di grande rilievo. L’agricoltura non è totalmente abbandonata, seguendo logiche di vecchio stampo in cui i proprietari rimangono in attesa delle rendite urbane, spesso a carattere speculativo. Né si tratta di un’agricoltura tutta votata alla produzione, spesso assumendo caratteri industrializzati.

Oggi l’agricoltura periurbana risponde a diverse esigenze e funzioni e si esplica con un mix di pratiche e di iniziative: mantiene la dimensione produttiva orientandosi sempre più ad una produzione di qualità (concentrandosi sull’agricoltura biologica e su modalità di produzioni sostenibili anche dal punto di vista ambientale), in cui si riaffermano le produzioni tipiche locali e si cercano di costruire reti locali di produzione e distribuzione (produzioni a km zero), valorizzando il rapporto con il consumatore (GAS, ecc.); cerca di recuperare le terre improduttive o abbandonate, a partire dalle terre pubbliche (di cui reclama sempre più la messa a disposizione) o dalle terre confiscate alle mafie; è attenta al sociale e all’impiego corretto nel lavoro della popolazione migrante (cooperative sociali); sviluppa iniziative nel campo sociale (ad esempio, con l’ippoterapia o iniziative analoghe); conduce iniziative in campo culturale, sviluppando anche progetti con le scuole (recupero dei cicli stagionali e naturali, ecc.); aprono gli spazi al tempo libero e alla ristorazione bio e di qualità; svolgono servizi ecosistemici con una particolare attenzione alle tematiche ambientali (pensiamo anche al ciclo dei rifiuti ed, in particolare, all’umido); ecc. Diventano riferimento nel contesto locale, come se fossero uno “spazio pubblico” a disposizione per gli abitanti.

Questi due aspetti si intrecciano quindi fortemente tra loro. L’agricoltura periurbana è quindi presidio del territorio, ma anche uno strumento di contenimento dello sviluppo insediativo, propone un modello alternativo di città.

Tutto questo si ritrova in una mostra dal titolo “ROMA PERIURBANA. Risorse Agricole, Territorio, Realtà sommerse” in corso presso il “Mattatoio”, il polo espositivo della Fondazione Palaexpo e di Roma Capitale presso il Mattatoio di Testaccio a Roma, e aperta fino al 21 maggio.

La mostra nasce su iniziativa dell’Associazione RomaAgricola, una rete di realtà che operano nel campo dell’agricoltura periurbana, a cominciare dalla Cooperativa Agricola Nuova di Decima, protagonista dell’occupazione delle terre negli anni ’70 nonché dell’organizzazione della prima conferenza agricola a Roma con il sindaco Argan: “Il progetto consiste nel valorizzare e nel recuperare l’agricoltura cittadina e periurbana, assumendone la centralità strategica, in grado di integrare aspetti molteplici: difesa del suolo e dell’ambiente, vivibilità urbana, qualità alimentare, creazione di lavoro qualificato, solidarietà e integrazione sociale, accoglienza degli immigrati, educazione ambientale, sperimentazione e innovazione. L’agricoltura, infatti, rappresenta una straordinaria risorsa territoriale di cui fortunatamente dispone la nostra città, nonostante anni di feroce speculazione edilizia e fondiaria ne abbiano appannato l’evidenza. Le sue effettive potenzialità, unite a una straordinaria consistenza di aree verdi pubbliche, a nostra disposizione, fanno sì che Roma risulti, a tutti gli effetti, capitale europea dell’agricoltura e del verde”.

La mostra tocca diverse tematiche intrecciate ai due aspetti precedentemente sottolineati, anche attraverso il contributo di tanti soggetti differenti (da Libera a Ispra, dal DICEA della Sapienza alla CGIL, da Roma Ricerca Roma all’Università di Roma Tre alle associazioni, ecc. ecc.): le aree agricole, i parchi, il consumo di suolo e il contenimento dello sviluppo insediativo, le strutture abbandonate da riutilizzare, i casali della campagna romana (patrimonio storico-culturale da valorizzare), un’idea nuova di urbanistica e le progettualità che si stanno sviluppando dal basso in alcune periferie romane (“corona verde di Roma est”), bagni pubblici, servizio civile, scuola e dispersione scolastica, ruolo dei migranti, orti urbani, terre confiscate alle mafie, ecc..

La mostra è integrata dall’illustrazione di alcune tappe fondamentali nell’evoluzione della città, sia per quanto riguarda una presa di coscienza solidaristica dei problemi di Roma, sia per quanto riguarda momenti in cui la politica è stata più capace di entrare in contatto con i problemi degli abitanti: Amministrazione Nathan, Convegno “I mali di Roma”, Amministrazione Argan/Petroselli.

La mostra vuole sottolineare che quindi un progetto e una città alternativa sono già in atto, anche se spesso appaiono “sommersi”, da valorizzare. Da qui la richiesta che viene dalla mostra e dalla serie di seminari ad essa connessi (oltre una ventina) che tutto questo si trasformi in politiche pubbliche.

Carlo Cellamare, docente di urbanistica, DICEA, Sapienza Università di Roma, Responsabile scientifico del LabSU Laboratorio di Studi Urbani “Territori dell’abitare”, direttore della rivista “Tracce Urbane”, mambro della task force “Natura e Lavoro”