RESPIRO è una nuova rubrica del manifesto. Un collettore di articoli che riflette sui dati e la computazione come fenomeni esistenziali, culturali e politici, per solleticare immaginari non estrattivi e un approccio ecosistemico alle nuove tecnologie. RESPIRO è la concatenazione di arte, politica, scienza, ricerca e innovazione – con pronunciate simpatie cyber.punk.eco.trans.femministe – ci convivono menti eterogenee. A cura di Oriana Persico.

L’ultimo atto di questo reportage da Favara e dall’Ambasciata dei Non Umani è un racconto personale della piece teatrale. Enrico Lain e Saverio Massaro, gli sceneggiatori-architetti che si sono cimentati in questo esperimento di scrittura, ci hanno dotato di molti strumenti per leggere il background e i futuri possibili e desiderabili di questo progetto nell’intervista appena pubblicata.

Ciò che avevo promesso è anche un racconto personale: svestiti i panni di performer e richiedente asilo politico per i cinque agenti computazionali del Nuovo Abitare, mi sono infatti immersa nello spettacolo.

Ecco qui il momento in cui la richiesta viene accettata a Palazzo Miccichè, con la consegna rituale del plico. Il video ci è appena giunto, lo pubblico per fotografare il cambio di scena, facendovi notare quanto fluido sia il passaggio fra la fine della mia performance e l’inizio dello spettacolo vero e proprio: i due momenti, nati e pensati separatamente, si mescolano senza attriti. Sia il corteo, sia la richiesta di asilo politico sono parte integrante dell’azione e dello spettacolo, concettualmente e scenicamente senza strappi, quasi un warm-up per il pubblico, contribuendo ad annullare il confine già labile fra finzione, realtà e teatro.

Ciò che vedete è l’ingresso di Palazzo Miccichè, che ospita sia l’inizio dello spettacolo: un edificio che, ci tengo a riprendere qui il concetto, è in via di rigenerazione grazie alle piante. Alberi crescono nelle fondamenta mettendovi le radici, mentre tante specie fra rampicanti e non si occupano delle mura. Il palazzo stesso con la sua vita è un Ambasciatore fra “Gli Ambasciatori dei Non Umani”: soggetto e oggetto al tempo stesso, attore e agito da chi lo popola.

Consegna e accettazione rituale della richiesta di Asilo – Riprese di Francesco Monterosso

Perché ho respirato tre volte durante lo spettacolo

Alla location si aggiungono diversi elementi in un mix davvero potente che fa dello spettacolo un Respiro ampio e tondo per chiunque vi abbia partecipato o lo farà in futuro.

Premessa: il primo valore dello spettacolo è la messa a nudo dei limiti dell’antropocentrismo e ci fa riflettere sulla nostra condizione esistenziale contemporanea, fatta in modo non ideologico, scevro di aggressività quando di un certo moralismo in salsa ambientalista che è quanto di più lontano dall’ecologia che possiamo immaginare. 

Ecco perché in tre Respiri.

UNO: i testi sono bellissimi e densi, avventurandosi in materie complesse con un linguaggio semplice ma anche evocativo: ognuna delle undici entità non umane in campo – Gaia, Moltitudine Verde,  Tecnologia, Capitalismo, Gioco, Complessità, Economia, Comunità, Moderno, Globale, Scarto – ha qualcosa di importante da dire. Le riflessioni che ci porgono, mai banali o retoriche, non cercano di risolvere lo statuto esistenziale ambiguo del nostro abitare, le contraddizioni, i desideri, i grandi temi sociali e filosofici che ci pone, alla ricerca di soluzioni morali. Li attraversano piuttosto, restando sapientemente in bilico e accompagnando lo spettatore in un viaggio pieno di sorprese. Agli sceneggiatori, che hanno intrapreso questa avventura venendo da mondi diversi quali l’architettura e il design, vanno quindi i miei complimenti per il processo di scrittura e il suo risultato finale.

DUE: i testi in questione sono stati portati in scena da una compagnia di giovani attori dalle età comprese fra i 18 e i 25 anni circa che, con la regia di Marta Bettuolo e Stefano Eros Macchi, ci regalano una recitazione non solo appassionata ma anche inappuntabilmente professionale. Questi ragazzi sono bravi e bravi chi li ha diretti. Ho passato due ore incantevoli attraversando le stanze di Palazzo Miccichè dove le undici entità non umane, all’arrivo del pubblico, si attivavano per performare il proprio pezzo disseminati nelle diverse stanze in mezzo a opere e piante: talvolta toccandoci e coinvolgendoci, talvolta ignorando la nostra presenza volutamente, in assoli o in coppia, muovendosi o restando fermi. Il pubblico è libero di muoversi in una narrazione performativa non lineare che consente di seguire lo spettacolo come un vero e proprio ipertesto disseminato nello spazio. Un’articolazione studiata in modo site-specific per dialogare con la location e le persone, con una grande attenzione alla gestualità dei corpi e un effetto molto suggestivo che sarà difficile riprodurre, specialmente nella forma classica del palco. Proprio il corpo e il processi di “embodiment” (che in italiano si potrebbe tradurre con un termina vagamente religioso come “incarnazione”) delle entità non umane è stata al centro della ricerca teatrale, come ho scoperto parlando con i registi e i nostri giovani attori: dovendo avere a che fare con un altissimo livello di astrazione, hanno cercato di fare un carattere (una personalità) alle entità e un modo di muoversi e portarlo in scena. 

Come Gioco, che diventa feroce e impertinente, ma anche leggerissimo: la tipica ferocia dei bambini che quando giocano fanno qualcosa di serissimo e lo sanno: imparare a vivere.

Gioco

O Mercato, trasformato in maestro di yoga che senza dirlo esplicitamente riesce a coinvolgerci: tutti, senza domandarci nulla, proprio come facciamo con l’entità-mercato seguiamo i suoi ritmi e ciò che ci propone.

TRE: la mia esperienza dello spettacolo si è aperta e chiusa con due abbracci fisici e una performance extra che mi è stata regalata a notte fonda nelle stradine di Favara.  Il primo abbraccio, che ricevo a Palazzo Miccichè da Moltitudine Verde, è stato anche immortalato.

Impersonata da Giberto Rasia, Moltitudine Verde è posizionata all’ingresso. Mi accoglie parlando del respiro, e di respiro continua a parlare. Essendo andata a recuperare alcuni pezzi importanti dopo la parade (ovvero il mio pc), ero la sola spettatrice. L’entità non umana ha visto così la mia piccola figura con cappello fiondarsi fra le sue braccia nella sorpresa di una connessione fra le sue parole, questa rubrica, l’apnea da cui cerco di uscire dopo la morte di Salvatore. Mentre cerco di spiegare la mia emozione, fra una lacrima e una risata, Gilberto mi richiama all’ordine: dobbiamo staccarci, “show must goes on”. Giovani e professionalissimi, mi sono detta, l’unica cosa di cui le giovani generazioni sono fiducia e relazione, e occasioni per esprimersi. E in questo i miei complimenti vanno ai fondatori del teatro LiNUTILE, Marta ed Eros,  che a questo hanno dedicato la loro passione per il teatro. 


L’abbraccio con Moltitudine Verde

Sempre a causa del mio pc disperso ho inoltre saltato due performance di mio estremo interesse: Complessità e Tecnologia, tratto integralmente dall’intervento di Salvatore. La prima, impersonata da Matteo Lo Schiavo, l’ho recuperata grazie alla documentazione di Francesco Monterosso

La seconda, impersonata da Zaccaria Ghazal l’ho ricevuta nel post spettacolo, in una replica davanti al Basta Bar, molte birre e alla giovane compagnia al completo. È una delle voci profonde, quella di Zaccaria, dal timbro radiofonico. Sentire le parole di Salvatore trasformate in performance è stato uno dei momenti più intensi della mia permanenza favarese. Sal vivo nella voce di un’altra persona che quelle parole le aveva fatte sue, mettendo i toni e gli accenti in determinati punti. Sal vivo nel corpo di qualcun altro, un giovane laureando in ingegneria ambientale fra l’altro. Carne ed ossa, sentendo che ciò che ha detto e fatto continua a circolare come linfa: il teatro è un media straordinario, dobbiamo continuare ad esplorarlo, ad attingere alla sua funziona poetica e poietica proprio quando parliamo di dati, di computazione del nostro controverso rapporto con la tecnologia che non nasce per essere “usata” ma per farci “sentire” (cit). 

Anche con lui ci siamo abbracciati a lungo. Non ci sono immagini di questo secondo abbraccio, ma per sempre resta impresso nel mio cuore. Un grazie a polmoni pieni per tutti questi ragazzi e tutto ciò che nella vita e nel teatro riusciranno a realizzare.

Augurio

Con l’augurio di molte repliche – la prima si è appena conclusa a Padova il 15 settembre scorso – posso dire questo. 

Ho sentito parole decisive in ogni dialogo, osservato corpi studiati in ogni gestualità e movimento, ascoltato voci profonde e promettenti per chi di questi giovani sceglierà il teatro come carriera: hanno tutte le carte per riuscirci e sono felice che siano proprio dei giovani ad essere entrati in contatto con le tematiche di Fair Play, dell’Ambasciata e del Nuovo Abitare che ne è diventato parte integrante.

Nuovo Abitare Parade, davanti all’ambasciata, pochi minuti prima dello spettacolo

Special thanks: si ringrazia il prof. Francesco Monterosso a cui si devono tutte le riprese dello spettacolo qui pubblicate e da lui gentilmente offerte.