Non abbattere ogni regola, ma imporre la sua
X factor A cosa corrispondono le sovrabbondanti esternazioni di Elon Musk sulla sua X, i giudizi perentori su amici e nemici, le pillole di dottrina reazionaria che diffonde nel mondo dalla sua […]
A cosa corrispondono le sovrabbondanti esternazioni di Elon Musk sulla sua X, i giudizi perentori su amici e nemici, le pillole di dottrina reazionaria che diffonde nel mondo dalla sua nuova posizione di superconsigliere (se non creatore) dell’imperatore? Sono solo increspature non insignificanti sulla superficie di un potere di “ingerenza” che ha pochi eguali tra gli imprenditori privati di ogni tempo. Musk è l’esemplare più in vista non tanto del più classico capitalismo delle piattaforme, quanto di un altro.
Quello delle produzioni d’avanguardia, e di quella tecnocrazia su larga scala sostenuta da enormi risorse finanziarie, che intrattiene un rapporto diretto con il potere politico e coltiva una propria idea di società.
La domanda alla quale converrà allora applicarsi è quale forma di capitalismo esprima questo genere di oligarchie, quali strumenti di comando sul lavoro e di appropriazione delle conoscenze ne abbiano edificato gli imperi, in quale modo siano riuscite a conquistarsi l’ammirazione, il seguito (e la soggezione) del grande pubblico e infine quale rapporto, di forza o di simbiosi, di dipendenza o di condizionamento, intrattengano con il potere politico. Di certo è evidente il salto di paradigma, la soluzione di continuità con il liberalismo classico, con il suo pluralismo competitivo e con la sua pretesa di deregulation. Qui non si tratta solo di sgomberare il campo dalle regole che risultino d’intralcio quanto di imporre e stabilire la propria, garantendola attraverso un patto di ferro con il potere politico. Una regola che assume i tratti di una vera e propria visione di società.
Margaret Thatcher nell’epoca trionfante della controrivoluzione neoliberale sosteneva che la società non esiste, ma esistono solo gli individui. Musk e i suoi simili sembrano sostenere al contrario che la società esiste eccome e che deve corrispondere alla loro visione: un modello destinato ad affermarsi attraverso un generale consenso ottenuto senza democrazia. Non è più questione del libero gioco tra interessi particolari in competizione tra loro, del prodotto spontaneo di una dinamica socio-economica priva di regia, ma, tutto al contrario, di un disegno e di un disegnatore che sembra disporre di risorse e di poteri infiniti. A differenza del liberalismo classico che affidava al vizio e all’egoismo dei singoli, (come illustrato nella celebre favola delle api di Mandeville), un ruolo decisivo, quello cioè di generare nella loro interazione il benessere della società, il capitalismo digitale e aerospaziale si propone come visione “morale”, laddove l’efficienza produttiva e la politica autoritaria si presentano in primo luogo come lotta contro il male. Il legame con le correnti ultraconservatrici, con il moralismo disciplinare, l’impostazione gerarchica e l’insistenza sulla fedeltà al capo ne sono caratteristiche del tutto intrinseche. Sebbene i meccanismi oggettivi dell’accumulazione continuino a sottendere la formazione dei patrimoni e dei poteri economici, l’elemento soggettivo ed egotico emerge con sempre maggiore evidenza. Trump sarebbe del tutto fuori luogo in un quadro classico di capitalismo liberale.
I satelliti, i missili, gli avveniristici programmi spaziali e in un certo senso anche l’intelligenza artificiale prima di essere incorporata nei vari prodotti tecnologici di mercato, non sono merci destinate al consumatore, ma a stati governi o altre macroforme di organizzazione del potere. A questi soggetti il capitalismo di Musk e della Silicon Valley reazionaria rivolgono la propria attenzione e riescono a rendersi indispensabili. Non la società civile ma lo stato è l’interlocutore privilegiato di questo capitalismo visionario. Ed è per questa ragione che la forma dello stato e le sue tendenze politiche sono così decisive per le nuove oligarchie. Che cosa tutto questo possa significare per il futuro della democrazia è facile intuire.
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