Dopo quattro mesi di detenzione provvisoria il poliziotto che ha ucciso Nahel a Nanterre il 27 giugno scorso è stato rimesso in libertà ieri, pur rimanendo sotto «controllo giudiziario». Florian M., agente di polizia di 38 anni, è l’autore del tiro d’arma da fuoco che aveva ucciso il 17enne originario della banlieue parigina, la cui morte aveva infiammato i quartieri popolari quest’estate, dando origine alla più imponente rivolta dal 2005.

La madre di Nahel si è detta «afflitta» e «scioccata» dalla decisione dei giudici del tribunale di Nanterre, secondo quanto riportato dai media francesi. I sindacati di polizia, invece, si sono detti «sollevati». La procura, dal canto suo, ha fatto sapere che «i criteri legali della detenzione provvisoria» non erano più soddisfatti «allo stadio attuale dell’istruzione» suggerendo implicitamente che l’inchiesta si stia avviando verso una possibile conclusione.

A più riprese in questi mesi i giudici hanno negato la scarcerazione di Florian M., malgrado le proteste dei sindacati di polizia e del suo avvocato. All’indomani dell’arresto del poliziotto, il sindacato maggioritario Alliance aveva proclamato la propria disapprovazione di un tale gesto, riferendosi all’arresto dell’agente, non all’uccisione di Nahel. «Il nostro collega è stato colpito per calmare dei casseurs che attaccano la Repubblica e così “comprare” la pace sociale», aveva detto il 29 giugno Davido Reverdy, segretario del sindacato a Le Monde.

Le immagini dell’uccisione di Nahel, riprese da testimoni e diffuse sui social, avevano infiammato i quartieri popolari di tutto il paese, in un contesto di aumento vertiginoso di violenze della polizia e omicidi causati dagli agenti. Dal 2017 a oggi, gli incidenti mortali in caso di «refus d’obtémperer» (quando si è accusati di non fermarsi a un posto di blocco) sono più che triplicati, secondo le cifre disponibili.

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In quell’anno, infatti, il governo socialista di François Hollande aveva approvato una riforma che allargò il perimetro della legittima difesa in casi come quello di Nahel. Secondo il giornale Basta!, tra il 2017 e il 2023 almeno 26 persone sono morte in «refus d’obtémperer», contro 17 vittime nei quindici anni precedenti (2002-2017).

La morte di Nahel ha dato il via a tre giorni di scontri estremamente duri con la polizia, conditi da saccheggi a supermercati e atti di vandalismo di vario tipo. Il governo aveva sposato la linea dura, mobilitando corpi speciali e mezzi blindati, imponendo misure drastiche come il coprifuoco e dando adito a una repressione giudiziaria senza precedenti.

Nei giorni della sommossa almeno una «quarantina» d’inchieste per violenze commesse dalla polizia sono state aperte dall’Igpm, il «gendarme interno» della polizia, il cui compito dovrebbe essere di indagare i delitti commessi dagli agenti, secondo l’Afp.

Tra queste, c’era stata quella subita da Hedi, un giovane marsigliese di 22 anni, colpito alla testa e pestato da un gruppo di agenti di Marsiglia. Uno dei poliziotti autori della violenza è stato anch’esso messo in detenzione provvisoria a fine luglio, venendo poi scarcerato l’1 settembre. L’arresto dell’agente aveva provocato la collera dei sindacati di polizia, che avevano inscenato una protesta durata vari giorni, facendo pressione per introdurre misure legislative che impedissero la detenzione degli agenti in casi del genere. Il capo della polizia, Fréderic Veaux, aveva all’epoca dichiarato che «sapere che un poliziotto è in prigione m’impedisce di dormire» e che «in generale penso che prima di un eventuale processo, un poliziotto non dovrebbe stare in prigione».

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La repressione giudiziaria dei giovani colti a partecipare alle sommosse è stata particolarmente forte. Secondo il ministro della Giustizia, a fine luglio, più di 1.000 persone erano state condannate e 600 incarcerate. Su di un totale di più di 1.200 sentenze pronunciate, circa il 95% erano concluse con delle condanne; mentre le pene di prigione si sono, in media, attestate sugli 8 mesi.