Francesco oggi in visita in Kazakistan, cercando la via per Kiev e Mosca
Francesco arriva oggi a Nur-Sultan, capitale del Kazakistan per partecipare al VII “Congresso dei Leader delle Religioni Mondiali e Tradizionali”. L’evento ha rilevanza mondiale quale la più grande riunione ecumenica di rappresentanti delle principali tradizioni spirituali: sono attese 110 delegazioni provenienti da 50 paesi. A cadenza triennale, il Congresso ha per missione dichiarata di rafforzare il dialogo e la comprensione reciproca fra le fedi e, per estensione, la pace e la sicurezza internazionali.
Nel quadro del suo attuale sforzo per de-escalare la guerra russo-ucraina, come rilevato da Luca Kocci, il Congresso offre al papa una piattaforma importante per parlare a entrambi i contendenti senza vedersi “arruolato” dalle rispettive propagande. Francesco ha a lungo sperato di poter incontrare a Nur-Sultan il suo “collega” Kirill, capo del Patriarcato di Mosca e della Chiesa Ortodossa Russa (COR). Inizialmente previsto, l’incontro è naufragato sul perdurare delle polemiche sull’accusa di uso strumentale della religione a fini bellici indirizzata da Francesco a Kirill.
La redazione consiglia:
Papa Francesco: «Guerra totale» a rischio escalation atomicaIl pontefice dovrà quindi limitarsi a conferire con il capo del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del COR, il metropolita Anton, già in visita in Vaticano ad agosto. Si parla anche di un possibile incontro fra Bergoglio ed il leader cinese Xi Ji Ping, il cui arrivo a Nur-Sultan, prima visita all’estero dall’inizio dell’era Covid è previsto per domani. Xi parteciperà in settimana al vertice annuale dell’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai in Uzbekistan, e poi in Uzbekistan incontrerà il 15 Putin..
Il papa pronuncerà oggi un primo discorso al palazzo presidenziale di fronte ai rappresentanti delle autorità e del corpo diplomatico. Mercoledì parlerà all’apertura della sessione plenaria del Congresso prima di celebrare una messa nel e concludere il suo viaggio giovedì incontrando i leader cattolici del paese.
Nonostante la quasi esiguità della comunità cattolica (120mila fedeli), il Vaticano ha da sempre prestato attenzione alla situazione unica del Kazakistan, gigante ibrido a cavallo fra Russia, Cina ed Islam (religione di maggioranza), patria di oltre cento nazionalità differenti. Non a caso la prima visita di un Pontefice avvenne esattamente 20 anni fa. All’indomani degli attentati dell’11 settembre, Giovanni Paolo II considerò il paese quale la scena migliore per lanciare un messaggio contro lo «scontro di Civiltà» a cui si avviava l’America di Bush verso il mondo musulmano.
L’importanza del Kazakistan per gli equilibri eurasiatici è ancor più di rilievo nell’attuale congiuntura. A gennaio il paese è brevemente sprofondato nel caos, in seguito a proteste sociali degenerate in un tentativo di colpo di Stato contro il presidente, Kasim-Žomart Tokaev. La crisi è stata risolta da un intervento militare coordinato da Mosca per salvare quello che con la Bielorussia rimane il principale alleato nell’ex-URSS.
Tuttavia l’attacco russo all’Ucraina ha sconvolto anche il quadro delle relazioni fra Mosca e Nur-Sultan. La presenza di ampie comunità russe (il 20% della popolazione) concentrate nel nord del paese, a ridosso del confine più lungo del mondo con la Russia, pone il Kazakistan a rischio di uno «scenario Donbass». Di conseguenza Tokaev si è trovato innanzi ad una duplice sfida: affermare il proprio potere dopo la sanguinosa sfida posta dalla mafia famigliare del suo predecessore, Nursultan Nazarbaev, e rafforzare le basi dell’esistenza internazionale del paese di fronte all’avventurismo della Russia.
Verso la quale Tokaev ha iniziato a defilarsi in ambito diplomatico e militare. Il 1° settembre inoltre, Tokaev ha a sorpresa annunciato nuove elezioni presidenziali straordinarie. Dati questi fattori di fragilità intrinseca, l’establishment ha più che mai bisogno della legittimità internazionale che gli conferiscono l’organizzazione di eventi quale il Congresso delle religioni.
Si tratta di una tradizione consolidata inaugurata da Nazarbaev il quale ha costruito negli anni il brand del Kazakistan piattaforma di pluralismo inter-etnico e confessionale, allargando così la rete di relazioni con i principali centri di potere mondiale. Il caos improvviso di gennaio ha però dimostrato quanto l’immagine del «modello kazakistano» poggi su basi fragili e come il grande paese continui a navigare in acque pericolose.
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