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Famiglia Regeni: «Agire contro l’Egitto». Fico: «Dovere morale»

Famiglia Regeni: «Agire contro l’Egitto». Fico: «Dovere morale»Fiaccolata per Giulio Regeni – LaPresse

Italia/Egitto I genitori del ricercatore chiedono provvedimenti, il presidente della Camera li appoggia. Intanto al Cairo prosegue, con il contagocce, il rilascio di altri prigionieri politici in detenzione cautelare

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 31 maggio 2022

La prima reazione istituzionale alle parole dei genitori di Giulio Regeni a Che tempo che fa di domenica sono giunte dal presidente della Camera, Roberto Fico: «Noi sappiamo che l’Egitto non vuole collaborare – ha detto ieri da Napoli – Anzi, ha alzato un muro e noi invece dobbiamo in tutti i modi riuscire a far proseguire i processi perché è un dovere morale per il nostro paese».

Il riferimento è alle difficoltà, apparentemente insormontabili, da anni di fronte alla Procura di Roma che si è vista sospendere il processo per rapimento, tortura e omicidio del giovane ricercatore a causa dell’impossibilità di recapitarne la notifica ai quattro indagati, il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel e il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Il domicilio non è stato mai eletto, la reticenza egiziana a rispondere alle rogatorie italiane ha cristallizzato il procedimento.

Lo hanno ricordato domenica Paola Deffendi e Claudio Regeni: «Questi hanno confermato ufficialmente che non collaboreranno», ha detto il padre di Giulio, riferendosi alla nota del ministero della Giustizia italiano al gup Ranazzi, lo scorso 11 aprile, che riporta nero su bianco il «rifiuto (del Cairo) a collaborare nell’attività di notifica degli atti».

Per questo, ha aggiunto Regeni, «è giusto prendere provvedimenti seri nei loro confronti». «I nostri politici hanno stretto mani, hanno telefonato, hanno avuto incontri bilaterali europei e internazionali. Continuano a essere presi in giro», ha poi spiegato Paola Deffendi.

Intanto, al di là del Mediterraneo, il regime di al-Sisi prosegue con il rilascio – con il contagocce – di prigionieri politici in detenzione cautelare.

Una politica avviata nel mese di Ramadan con una quarantina di rilasci e continuata ieri con la liberazione della traduttrice Kholoud Saeed, l’attivista Sameh Seoudi e il giornalista Khaled Ghoneim, tutti arrestati tra il 2019 e il 2020 con le solite accuse, diffusione di notizie false e appartenenza a gruppo terroristico.

A darne l’annuncio è stato il Comitato presidenziale per la grazia, recentemente riattivato per ordine del presidente al-Sisi: in mano ha a una lista di oltre 2.400 nomi stilata dalle organizzazioni per i diritti umani egiziane, come parte del processo di dialogo nazionale promesso da al-Sisi alle opposizioni, ma che finora sta dando ben pochi frutti.

Dovrebbe seguire, secondo l’avvocato Khaled Ali, anche il rilascio dell’attivista Abdelrahman Tarek, noto come Mokka, e dell’ex deputato Mohamed Mohie el-Din. Il Comitato ha poi parlato di altre liberazioni, tra cui lo scrittore Ayman Abdel-Moati e l’ex portavoce del movimento 6 Aprile Sherif el-Rubi.

Dietro le sbarre restano almeno 60mila prigionieri politici, di cui 26mila in detenzione cautelare, senza che all’orizzonte si preannunci un processo, nemmeno farsa.

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