«Exxon sapeva di devastare il clima». Fin dagli anni 70 e meglio della Nasa
Una stazione di rifornimento Exxon a Philadelphia – Ap
Internazionale

«Exxon sapeva di devastare il clima». Fin dagli anni 70 e meglio della Nasa

Ricerca Uno studio di «Science»: decenni persi in dibattiti fasulli
Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 13 gennaio 2023

Per dirla con un popolare slogan degli attivisti climatici, #ExxonKnew. Le società petrolifere, cioè, sapevano benissimo che le emissioni di anidride carbonica dei combustibili fossili avrebbero condotto alla crisi climatica. Non solo sapeva ma, come dimostra una ricerca pubblicata ieri dalla rivista Science, dagli anni ‘70 i ricercatori della ExxonMobil prevedevano l’attuale riscaldamento globale con grande precisione, perfino meglio dei climatologi più autorevoli.

Ma l’azienda, la più grande società petrolifera privata al mondo con un fatturato di oltre 280 miliardi di dollari e presente in Italia con il marchio Esso, ha preferito tenere nascoste le previsioni. Senza l’ostruzione della lobby del carbonio, quindi, il dibattito scientifico sul clima avrebbe potuto concludersi molti anni fa. Intervenire con decenni di anticipo sarebbe stato meno gravoso rispetto alla complessa riconversione a cui siamo costretti oggi.

Gli autori della ricerca sono due storici della scienza dell’università di Harvard (Usa), Geoffrey Supran e Naomi Oreskes, e il climatologo tedesco Stefan Rahmstorf (università di Potsdam, Germania). «La maggior parte di quelle previsioni sul riscaldamento globale concorda con i dati raccolti negli anni successivi» scrivono nel loro studio. «Inoltre risultano almeno altrettanto precise di quelle realizzate da ricercatori indipendenti e dai governi».

Il lavoro di Supran e colleghi si basa sui documenti divulgati dai giornalisti di Inside Climate News e del Climate Investigation Center. Il materiale si riferisce alle previsioni prodotte dalla ExxonMobil tra il 1977 e il 2003 e mostra che già 40 anni fa i ricercatori avevano avvertito i vertici dell’azienda sul «rischio catastrofico» del riscaldamento globale causato dall’uomo. Non fu un allarme sporadico: tra i documenti figurano ben sedici previsioni effettuate nell’arco di quasi tre decenni per conto dell’azienda, tutte d’accordo nel pronosticare un riscaldamento globale di circa 0,2 °C per decennio (proprio quello a cui stiamo assistendo oggi). Le previsioni della compagnia petrolifera sono persino più accurate rispetto a quelle presentate al Parlamento Usa dal climatologo della Nasa James Hansen nel 1988, nella storica audizione che portò per la prima volta l’emergenza climatica alla ribalta dell’opinione pubblica statunitense.

«Questi risultati – scrivono i ricercatori – confermano anche sul piano quantitativo le denunce di studiosi, giornalisti, avvocati, politici e tanti altri, secondo cui ExxonMobil aveva previsto la minaccia del riscaldamento globale causato dall’uomo, sia prima che durante le campagne lobbistiche e propagandistiche per ritardare i provvedimenti in campo climatico».

ExxonMobil e le altre aziende hanno negato a lungo le loro responsabilità. Proprio come le multinazionali delle sigarette anni prima, Big Oil ha assoldato presunti esperti per confondere le acque. In alcuni casi erano gli stessi che minimizzavano l’impatto del fumo, come ha documentato dalla stessa Oreskes nell’utilissimo saggio «Mercanti di dubbi» (Edizioni Ambiente, 2019). Gli stessi vertici aziendali spargevano disinformazione. «Non abbiamo una comprensione sufficientemente approfondita del cambiamento climatico per fare previsioni ragionevoli e giustificare misure drastiche» affermava nel 2000 l’amministratore delegato di ExxonMobil Lee Raymond. Ancora nel 2005 sosteneva che «la variabilità naturale del clima non ha nulla a che fare con l’attività umana, ma con le macchie solari». Raymond è stato anche presidente del Consiglio nazionale del petrolio statunitense, l’organismo che rappresenta l’intera industria dei combustibili fossili presso il ministero dell’energia statunitense. Quindi, sotto la sua reggenza, questa fu probabilmente la posizione ufficiale di tutto il settore.

Rex Tillerson, suo successore al vertice di ExxonMobil, fino al 2013 dichiarava che «nonostante tutti i progressi nella raccolta dei dati (…) la nostra capacità di prevedere il futuro con qualche certezza continua a essere molto limitata» e che «permangono incertezze su quali siano le cause principali del cambiamento climatico». Invece, le previsioni preoccupanti dei suoi tecnici venivano confermate anno dopo anno. Nemmeno lui è stato solo un manager privato. Tra il 2017 e il 2018 fu segretario di Stato nell’amministrazione Trump, che gli affidò il compito di fare la pace con la Russia, con cui Tillerson aveva già avviato una joint venture.

Tra gli artifici retorici mirati a screditare i «pessimisti» c’è la bufala del raffreddamento globale, una teoria circolata negli anni ‘70 secondo cui la temperatura dell’atmosfera stava calando, non aumentando. «Alcuni di quelli che oggi lanciano l’allarme del riscaldamento globale – diceva Raymond nel 1997 – negli anni ‘70 prevedevano l’arrivo di una nuova era glaciale». Dunque, si suggeriva, l’aumento di temperatura poteva essere l’ennesimo abbaglio dei climatologi. In realtà, dimostrano Supran, Oreskes e Rahmstorf, la teoria del «raffreddamento globale» rimase sempre minoritaria tra i climatologi. E Raymond non poteva non saperlo, visto che a ritenerla poco plausibile erano gli stessi tecnici della ExxonMobil.

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