Ensor, un corteo della «vanitas» negli sberleffi della luce
James Ensor: Scheletri nell’atelier, 1900, Ottawa, National Gallery of Canada
Alias Domenica

Ensor, un corteo della «vanitas» negli sberleffi della luce

Al Kmska di Anversa Nel 75º della morte, le Fiandre celebrano James Ensor con una serie di mostre che lo raccontano in tutti gli aspetti della sua vena sperimentale e fuori dall’etichetta di «artista delle maschere»
Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 6 ottobre 2024

Se un ladro avesse frugato nelle tasche di un distratto Ensor, sicuramente avrebbe trovato un flauto, suo inseparabile compagno in passeggiate meditabonde. Nelle serate con gli amici, invece, si dilettava a improvvisare al pianoforte comiche imitazioni di Wagner, compositore che negli ultimi due decenni dell’Ottocento aveva conquistato i circoli intellettuali di Bruxelles.

Ensor, in realtà, dopo gli anni della formazione nella capitale belga, viveva a Ostenda, vivace cittadina trasformatasi in luogo di villeggiatura à la page, ma si teneva aggiornato sulle tendenze culturali della sua epoca. Sedentario, non propenso ai viaggi (se si escludono i ritorni a Bruxelles, brevi soggiorni a Parigi e un’incursione a Londra), era consapevole della sua originalità e non perdeva occasione di giocare un ruolo di primo piano nel tessere la rete linguistica delle avanguardie.

Su quelle spiagge affollate del mare del Nord era sbarcato un giorno anche lo scrittore Stefan Zweig: stringendo fra le mani una lettera di presentazione del poeta belga Verhaeren, fiancheggiatore degli artisti poco accademici, era andato a fare visita al pittore. Se ne stava circondato da maschere, quadri con bizzarri personaggi e varie cineserie, gli stessi oggetti che figuravano nelle vetrine del negozio per turisti di famiglia, e che avranno una influenza determinante nella costruzione della sua imagerie. Era «uno strano tipo di scontroso eremita, che andava più orgoglioso dei cattivi ballabili da lui composti per le bande militari che non dei suoi quadri dai colori fantastici e smaglianti» ( Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo).

Prismatica personalità, pittore, incisore, critico e scrittore, James Ensor (1860 -1949) aveva scelto di affidare alla musica una buona dose del suo spirito beffardo, componendo pezzi intrisi di umorismo, dai valzer giovanili all’opera per balletto La Gamme d’Amour, del 1911, il cui titolo è tratto dall’omonimo dipinto di Watteau: di questa storia, che narra un’impossibile passione ambientata durante il Carnevale in una bottega di maschere e marionette, aveva anche progettato la messa in scena, disegnato i costumi e le decorazioni; soprattutto, aveva sperato senza successo di poterla rappresentare al Théâtre des Champs Elysées di Parigi.

Autoritratto con cappello a fiori, part., 1883, Ostenda, Ensor Museum

L’ultima sala della grande mostra allestita presso il Museo reale di belle arti di Anversa è un tributo all’Ensor musicale e meno noto, chiudendo un percorso a tappe dedicato all’artista belga nell’anniversario che celebra i 75 anni dalla sua morte: quattro le rassegne sparse per la città, coinvolgendo il Plantin-Moretus con le incisioni, il Momu con una carrellata su Masquerade e Make Up contemporaneo e il Fomu con l’ampia antologica di Cindy Sherman e il suo reiterato «ballo del travestimento».

L’esposizione I sogni più sfrenati di Ensor. Oltre l’impressionismo, a cura di Herwig Todts con Adriaan Gonnissen e Anneleis Rios Casler (fino al 19 gennaio 2025), imbastisce un itinerario critico che procede in un serrato confronto con i suoi predecessori e le avanguardie, segnalando le numerose corrispondenze elettive. In questa lettura comparativa eccelle il «sonno della ragione che genera mostri» di Goya, ma rispondono all’appello anche Edvard Munch, Emil Nolde, Erich Heckel e George Grosz: in area tedesca, Ensor sarà un vate per gli Espressionisti.

La tesi finale – l’intento è quello di consegnare al «pittore delle maschere» una nuova prospettiva – è che James Ensor, grazie alla sua vena sperimentale, fu un ponte verso il Modernismo e uno smaliziato riscopritore dei maestri fiamminghi e olandesi, da Van Eyck a Bosch e Bruegel, fino a Rembrandt. Ipnotizzato da quest’ultimo, ne studiava la tecnica del chiaroscuro per applicarla alle sue acqueforti. Non va dimenticato, infatti, che la tradizione pittorica dei Paesi Bassi era stata sottostimata per secoli e la sua riscoperta avvenne principalmente per via francese: fra gli amateurs, c’era anche Baudelaire.

Il Kmska di Anversa possiede la più vasta collezione al mondo di opere di Ensor (trentanove dipinti e oltre seicento disegni), ma non può mostrare ai visitatori la titanica Entrata di Cristo a Bruxelles, summa della poetica dell’artista: nel 1986 fu venduta dal banchiere Louis Franck al Getty Museum di Los Angeles per nove milioni di attuali euro. Da allora non esce mai dalla sede californiana a causa della sua fragilità.
Gli esordi di Ensor avvengono sotto l’egida del Realismo, come faro c’è Gustave Courbet e come obiettivo l’anti-convenzionalità. Tramite riviste e stampe, esercita lo sguardo su pittori francesi, italiani e tedeschi, ricercando strade inusuali. In mostra, due dipinti con soggetto I bevitori – uno di Jean-François Raffaelli, che esponeva con gli Impressionisti, e uno di Ensor (1883) – sono accostati per ribadire la radicale interpretazione della miseria del belga. Estremizza la composizione in un movimento spigoloso, profondamente «nero». La sua palette, che in questo primo periodo sfoggia spesso tonalità chiare e brillanti («non ho figli, l’unica mia figlia è la luce», scriveva), debitrici di Monet e in seguito del simbolismo d’oro di Odilon Redon, qui è azzerata. Anche suo padre era un forte bevitore: una notte fu trovato morto in strada, pestato da balordi. Molti studiosi fanno risalire la sua ossessione per gli scheletri e la vanitas a quel tragico episodio.

Nella Mangiatrice di ostriche, opera centrale di quegli anni, c’è l’idea impressionista di una presa diretta della vita quotidiana in un interno domestico, non alieno dal gusto del japonisme. La modella è sua sorella Mitche, ma più che un ritratto è una «natura morta», allestita su un palcoscenico teatrale dove il colore è il vero protagonista, spalmato puro sulla tela in più strati.

Le istanze sociali si affacceranno più tardi, premendo sulle inquadrature delle sue scene. Ensor è un refusé che espone con il gruppo «scapigliato» Les XX. Superato l’imprinting impressionista, nelle sue opere compaiono slogan, caricature politiche, deformazioni satiriche della borghesia. Il suo stile promuove un’inversione di rotta che sboccia in una eccentricità tutta ensoriana, nutrita di frammenti autobiografici, umori del momento (il famoso Cabaret de l’Enfer di Montmartre), cultura popolare, carnevalesca e circense, teatro delle ombre, lanterne magiche e frotte di demoni. Cortei di maschere e teschi si prendono gioco del potere effimero, ritraendo impietosamente sia la moltitudine che l’artista stesso.

Nel bellissimo Plantin Moretus Museum, che sorge nel luogo dell’antica stamperia, ritroviamo James Ensor in veste di sperimentatore accanito. All’età di 26 anni inizia a cimentarsi con l’incisione, ma, difficilmente soddisfatto del risultato, affida alle lastre i suoi «stati dell’immaginazione», re-intervenendo sulle matrici più volte e colorando a mano i soggetti. Impara il mestiere di acquafortista con caparbietà, liberandosi via via dei suoi assistenti e riuscendo a fare tutto da solo, controllando così il processo dal principio alla fine, sognando Rembrandt sulla via della perfezione.

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