Cosa insegna la mossa dell’Olanda sull’immigrazione
Ministra dell'Immigrazione, Marjolein Faber
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Cosa insegna la mossa dell’Olanda sull’immigrazione

Sovranismi La ministra per la migrazione e l’Asilo, Marjolein Faber, in una lettera di dieci righe alla Commissione europea ha scritto che l’Olanda chiederà un opt-out sulle politiche migratorie «nel caso di modifica dei Trattati»
Pubblicato 5 giorni faEdizione del 22 settembre 2024

L’ossessione per l’immigrazione del nuovo governo olandese ha portato i ministri appena insediati a sorvolare sulle più elementari nozioni di diritto europeo. La ministra per la migrazione e l’Asilo, Marjolein Faber, in una lettera di dieci righe alla Commissione europea ha scritto che l’Olanda chiederà un opt-out sulle politiche migratorie «nel caso di modifica dei Trattati». La lettera è stata motivo di esultanza per Geert Wilders, leader del Pvv, partito di estrema destra di cui fa parte anche Faber, per il quale il ministro «ha fatto la storia dicendo all’Ur che gli olandesi vogliono rinunciare all’immigrazione».

Che questa fosse la volontà del nuovo governo Schoff era già chiaro a tutti: il punto due del programma di governo è dedicato al controllo sull’asilo e sull’immigrazione, controllo che viene presentato come panacea di tutti i mali dell’Olanda. Per far fronte alla crisi abitativa e ai problemi dei sistemi sanitario ed educativo, il governo propone misure quali la sospensione del diritto all’accoglienza dei richiedenti asilo e l’intensificazione delle espulsioni «anche forzatamente».

Nel voler mostrare il proprio mirabile impegno per la causa anche di fronte all’Europa, Faber ha quindi brandito la nozione giuridica delle clausole opt out, con l’intento di potersi liberare anche dei pochi brandelli di garanzie che il Sistema europeo comune d’asilo prevede per i migranti. Le clausole opt-out consentono agli Stati membri di aderire o meno a una determinata decisione dell’Unione europea con riguardo ad alcuni ambiti prestabiliti delle politiche comunitarie. Dato che la ratio dell’intera costruzione europea è che quanto si decide valga per tutti gli Stati membri, le clausole opt-out si contano sulle dita di una mano.

Attualmente sono in vigore solo due esenzioni per Danimarca e Irlanda e una per la Polonia, residuo di negoziazioni risalenti ai tempi dell’adesione. Quando ancora l’Unione non era un coacervo di sovranismi nazionali, la possibilità di concedere clausole di questo genere era stata prevista in extremis per evitare che il dissenso di singoli stati condannasse all’immobilismo le iniziative comuni. In ogni caso, le opt-out vengono concordate nel corso delle modifiche dei Trattati, ipotesi che una portavoce europea, in risposta alla ministra olandese, ha escluso come prospettiva imminente.

Che l’Olanda ci sperasse appare quantomeno sospetto: modificare i Trattati prevede una procedura lunga e complessa, e non a caso l’ultima modifica risale al 2009. Il processo avrebbe inizio con una proposta di revisione, che può essere avanzata da uno Stato membro, dal parlamento europeo o dalla Commissione. Una volta presentata la proposta, il Consiglio europeo, composto dai capi di Stato e di governo, decide se procedere. Se è favorevole, viene convocata una Convenzione, formata da rappresentanti dei parlamenti nazionali, del Parlamento europeo, della Commissione e dei governi degli Stati membri.

Successivamente, i rappresentanti degli Stati membri si riuniscono in una Conferenza intergovernativa per negoziare il testo delle modifiche proposte. Una volta raggiunto un accordo, le modifiche devono essere ratificate da tutti gli Stati membri, seguendo le rispettive procedure costituzionali, che possono includere voti parlamentari o, in alcuni Paesi, un referendum. Se anche una riforma dei Trattati si profilasse, ci si augura che tutta questa trafila venga fatta per attrezzare gli Stati membri a rispondere in maniera coesa alle sfide contemporanee, non per creare ulteriori differenziazioni in cui i nazionalismi possano fiorire e prosperare.

I capricci del governo olandese capitano inoltre nel momento meno opportuno in cui lamentarsi dei vincoli imposti dall’Ue sul trattamento da riservare ai migranti: il nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, entrato in vigore solo due mesi fa dopo quattro anni di estenuanti negoziazioni, ha prodotto dei regolamenti che tutto sono tranne che garantisti dei diritti fondamentali delle persone alle frontiere. Tra detenzioni di massa e garanzie procedurali ridotte all’osso, l’Europa non consentirà facilmente all’Olanda l’opt-out. Ma nel frattempo ha dato carta bianca a tutti per restringere i diritti dei richiedenti asilo ai minimi storici.

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