Ensafi: «Noi iraniani non siamo più disposti a sopportare un’altra guerra»
Usa/Iran Intervista allo scrittore-ingegnere Mostafa Enfasi: «Ci sentiamo come se fossimo in una stanza in cui è stato lasciato aperto il rubinetto del gas: poco per volta la camera si satura, basta una scintilla per far esplodere tutto»
Usa/Iran Intervista allo scrittore-ingegnere Mostafa Enfasi: «Ci sentiamo come se fossimo in una stanza in cui è stato lasciato aperto il rubinetto del gas: poco per volta la camera si satura, basta una scintilla per far esplodere tutto»
Immaginate un drone iraniano al largo di New York, in grado di riprendere la Statua della Libertà e i grattacieli di Manhattan. Come reagirebbe il Pentagono? Se anche il drone fosse nello spazio aereo internazionale, la sua fine sarebbe decretata in pochi secondi.
Ieri, un velivolo americano senza pilota RQ-4 Global Hawk, utilizzato per raccogliere informazioni e quindi per fare spionaggio, è stato abbattuto dai pasdaran con un missile terra-aria vicino allo Stretto di Hormuz. Le autorità di Teheran dicono fosse nel territorio aereo della loro provincia meridionale di Hormuzgan e di certo non potevano lasciare correre: di fronte alle reiterate minacce del presidente statunitense Trump, il fronte interno iraniano si è compattato e sono tutti d’accordo sul fatto che bisogna reagire.
Soprattutto «quando gli americani varcano la linea rossa dei nostri confini», ha dichiarato il comandante dei pasdaran. Gli americani, dal canto loro, sostengono che il drone fosse nello spazio aereo internazionale. In ogni caso questo gioco sporco con i droni, opera del Pentagono, non fa che aumentare le tensioni già in essere.
Per capire che aria tira veramente nel Golfo persico, anziché interpellare un esperto a migliaia di chilometri di distanza, abbiamo sentito lo scrittore Mostafa Ensafi. Di professione è ingegnere civile e da un mese lavora su una piattaforma petrolifera nel Golfo persico, anche se non proprio di fronte allo Stretto di Hormuz: «Ci sentiamo come se fossimo in una stanza in cui è stato lasciato aperto il rubinetto del gas: poco per volta la camera si satura, basta una scintilla per far esplodere tutto».
La sera, tra colleghi, discutono spesso dell’eventualità di un conflitto: «Qualcuno di noi sostiene che Trump si fermerà un attimo prima di scatenare il finimondo, altri temono sia sufficiente un passo falso, un incidente, per dare avvio a quella che sarebbe, inevitabilmente, la terza guerra mondiale».
Ensafi è nato a Teheran nel 1988, l’anno in cui l’Ayatollah Khomeini aveva accettato di mettere fine al conflitto con l’Iraq e si era riaccesa la speranza. Mostafa ha scritto racconti pubblicati su giornali e riviste ed è stato a lungo editor del blog letterario “51”. Recentemente è venuto in Italia, ospite del festival Incroci di Civiltà di Venezia per presentare il suo primo romanzo Ritornerai a Isfahan (nella bella traduzione dal persiano di Giacomo Longhi e dato alle stampe da Ponte33), pubblicato nel 2016 in Iran dove ha catturato da subito l’attenzione di pubblico e critica, collezionando numerose ristampe.
Un romanzo intenso, che riporta alla luce il dramma dimenticato delle migliaia di profughi polacchi, ebrei e cattolici, che nel 1941 trovarono un’accoglienza calorosa in Iran. Con lo scoppio della guerra, circa due milioni di polacchi della Polonia orientale furono deportati da Stalin nei gulag sovietici.
Nel 1941, un accordo tra Stalin, gli inglesi e il governo polacco in esilio permise di far transitare i deportati in Iran e da lì spedire gli uomini a combattere contro la Germania nazista, mentre migliaia di bambini si fermarono per oltre un anno e, per questo, sono passati alla storia come «I Bambini di Teheran».
Di fatto, durante la Seconda guerra mondiale l’Iran si era dichiarato neutrale, ma fu invaso dalle truppe sovietiche a nord e dagli inglesi a sud. «Il mio paese – commenta Ensafi – fu coinvolto a pieno titolo nel conflitto e ne subì tutte le conseguenze. E poi ancora, nel 1980 l’Iran fu invaso – una guerra per procura Usa e Israele ndr – dalle truppe irachene di Saddam Hussein, e quello fu il più lungo conflitto armato del XX secolo, la guerra Iran-Iraq è durata otto anni. Noi iraniani non siamo più disposti a soffrire e a sopportare un’altra guerra».
Se durante la Seconda guerra mondiale l’Iran ha accolto migliaia di rifugiati polacchi, l’Europa sembra dimenticare questo episodio. Il vecchio continente non fa abbastanza per allentare la tensione. Eppure, conclude l’ingegnere-scrittore al telefono dalla piattaforma petrolifera nel Golfo persico, «tutte le guerre del mondo iniziano così. Le due parti cominciano a minacciarsi a vicenda, si provocano, e poi arriva la scintilla che fa scoppiare il conflitto».
* (Sui «Bambini di Teheran», l’autrice di questo articolo ha realizzato un cortometraggio accessibile, senza password, a questo link: https://vimeo.com/244229425/cf343eafde)
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