Elly Schlein risponde al telefono da Gradisca d’Isonzo, in una tappa del suo tour elettorale: «Dieci anni fa la mia campagna per le europee partì proprio da qui, con una camminata dall’allora Cie fino al sacrario militare di Redipuglia. Ci battevamo contro i centri di detenzione per i migranti, contro i nazionalismi e i muri, le stesse cose per cui lottiamo ancora: da allora l’Europa ha fatto passi avanti con gli investimenti comuni del Next Generation Eu che noi vorremmo far proseguire per sostenere un piano industriale green; sui migranti invece manca ancora la solidarietà europea, abbiamo votato contro il nuovo Patto Ue perché restringe i diritti, prevede le schedature per i bambini e non impone la redistribuzione di chi arriva». Poi la visita allo stabilimento Electrolux, salvato 10 anni fa grazie alla mobilitazione dei lavoratori dalla delocalizzazione in Polonia: «Ma ora i dipendenti sono preoccupati per il calo della produzione e per il taglio dei posti, noi saremo al loro fianco». Mentre parla arriva la notizia dei domiciliari per Ilaria Salis: «Una grande notizia, un primo passo avanti: ora speriamo possa rientrare al più presto in Italia e che il governo si adoperi per questo».

Alla fine Salis si è candidata alle europee con Sinistra e Verdi e non col Pd. Ha dei rimpianti?

Ringrazio il padre Roberto che ha sempre riconosciuto la nostra vicinanza a Ilaria, ben prima che diventasse un caso nazionale con le immagini choc delle catene: ci siamo battuti per denunciare le condizioni inumane della sua detenzione, per chiedere al governo italiano di fare di più. E continueremo a farlo.

Gli ultimi dati Istat segnalano un drastico aumento della povertà e, in particolare, dei lavoratori poveri, il crollo del potere d’acquisto dei salari. Il recupero del Pil produce nuove diseguaglianze.

Un quadro drammatico, che per me non è una novità: in Italia ci sono 5,7 milioni di poveri, cancellare il reddito di cittadinanza è stata una follia voluta da Meloni, considerando che la stessa Istat certifica che questo strumento ha tirato fuori dalla povertà 1,3 milioni di famiglie tra il 2020 e il 2022. Si poteva migliorare, rendere più accessibile e invece niente: per la destra la povertà resta una colpa, non un problema sociale.

Da tempo voi insistete per il salario minimo. Di fronte a questi numeri sarebbe sufficiente come misura?

In tre anni i prezzi sono aumentati del 17%, i salari del 4,7%, il lavoro dipendente si è impoverito come in nessun altro paese europeo: i nostri salari sono più bassi rispetto al 1990. Ci sono 5 milioni di lavoratori che aspettano con urgenza il rinnovo dei contratti, quelli pirata vanno bonificati, e poi c’è la proposta di tutte le opposizioni di un salario minimo a 9 euro l’ora per cui stiamo raccogliendo le firme per una proposta di legge popolare, che sarebbe a costo zero per le casse dello Stato. C’è in 22 paesi europei, non ha mai prodotto cali dell’occupazione e ha avuto un’incidenza positiva sulla dinamica salariale complessiva, come dimostra il caso tedesco.

La scorsa estate avete raccolto 300mila firme sulla proposta delle opposizioni per il salario a 9 euro, e la destra in Parlamento l’ha bloccata attribuendo la delega al governo in tema di salari. Ora ci riprovate con le firme. Non crede che l’esito sarà lo stesso? Se non viene adottato evidentemente è perché a qualcuno non conviene.

Non conviene ai portatori di interesse che Meloni vuole proteggere, mentre volta le spalle a 3,5 milioni di lavoratori. Ma sono convinta che questa volta per loro sarà ancora più difficile dire no a una legge popolare con migliaia di firme: il salario minimo è apprezzato dal 70% degli italiani, compresi molti loro elettori.

I dati sulla povertà spiegano bene l’astensionismo crescente. I partiti litigano ma la situazione materiale peggiora. Lei come pensa di investire questo trend?

Con proposte concrete che producano soluzioni. Il mio progetto di legge per portare al 7,5% del pil la spesa sanitaria va al cuore di uno dei principali problemi degli italiani. La fondazione Gimbe dice che 4 milioni di persone rinunciano alle cure. A Pesaro una donna mi ha fermato per dirmi che dopo la diagnosi di tumore non riusciva a fissare visite successive e ha dovuto pagare 500 euro nel privato. Il suo pensiero è andato a chi non ha quei soldi. Io capisco le ragioni di chi pensa che il voto non serva a cambiare le cose, anch’io in passato ho avuto momenti di rassegnazione. Ma la politica comunque si occupa di noi, e l’unico strumento che abbiamo è il voto.

Tra le persone che incontra vede segnali di ritorno alle urne?

Percepisco un rinnovato entusiasmo attorno alla proposta del Pd, una apertura di credito che non era scontata: siamo stati a lungo identificati con il governo.

Se i salari sono così bassi e il lavoro precario non è solo colpa di Meloni. Dal 1990 fino a oggi avete governato a lungo. C’è stata una seria autocritica?

Siamo l’unico partito che fa i congressi e cambia la sua linea. Se il centrosinistra avesse fatto tutto bene io non sarei mai stata eletta segretaria. Il mio lavoro di ricucitura parte proprio dalla critica per gli errori commessi su lavoro, immigrazione, diritti. Vado nel dettaglio: le leggi sulla precarietà, i contratti a termine, anche alcune scelte su scuola e sanità. Al congresso del 2023 abbiamo intercettato una volontà di cambiamento che c’era nella nostra base. Cosa che non può accadere nei partiti personali dove ogni di cambio di linea dipende solo dalla volontà del capo non dalla partecipazione di massa alle primarie.

Riuscirà a portare fino in fondo questo cambiamento?

Tra gli elettori c’è un riconoscimento della sincerità di questo sforzo, ma dopo tanti anni di fratture la fiducia non la ricostruisci con uno schiocco di dita. E non basta una persona. Sono però convinta che tante persone che hanno votato Meloni sperando in un cambiamento positivo ora siano deluse: col tempo la verità viene a galla, così come l’incoerenza. Qualche giorno fa allo zen di Palermo ho toccato la disperazione di famiglie che hanno perso il rdc. La signora Rosalia mi ha detto che vorrebbe che il governo vedesse la loro sofferenza: hanno perso un sostegno ma il lavoro non c’è, e la colpa non è certo loro. Se davanti alla povertà non arriva prima lo Stato, si lascia spazio al ricatto delle mafie.

L’8 e 9 giugno si vota in oltre 3mila Comuni, di cui 27 capoluoghi. A Bari e Firenze il centrosinistra si presenta diviso. E’ preoccupata?

Abbiamo lavorato ovunque per l’unità e senza veti per nessuno, da quando sono stata eletta abbiamo costruito coalizioni con M5S e sinistra in 4 regioni su 5 e in 22 capoluoghi su 27. Sono soddisfatta del lavoro fatto. Su Bari e Firenze ho fiducia, pur senza dare nulla per scontato: abbiamo delle squadre molto forti. Sui numeri delle città dove vinceremo non fisso asticelle perché porta iella.

Perché ha accettato di fare il confronto tv con Meloni sulla Rai e da Vespa? Non le pare un set molto più favorevole alla premier?

Fin dall’inizio ho detto che avrei fatto il confronto ovunque e sono stata coerente, nonostante la nostra battaglia l’occupazione militare della Rai che è diventata un megafono del governo. Ho accettato di farlo anche lì.