I sondaggi di questa settimana (PBS/Marist/NPR) danno Biden e Trump ancora in sostanziale parità statistica. Allo stato attuale il presidente avrebbe un vantaggio di un paio di punti percentuali, insignificanti considerato il vantaggio “fisiologico” dei repubblicani nel collegio elettorale che favorisce gli stati rurali rispetto ai centri urbani. Rimangono quindi assai plausibili le possibilità di una vittoria democratica nel voto popolare che non si traduce necessariamente in un vantaggio nei delegati. Sarebbe lo scenario più esplosivo e destabilizzante in una nazione divisa oggi quanto lo era i 6 gennaio 2021.

Intanto l’aborto è tornato prepotentemente in primo piano come questione potenzialmente determinante nelle prossime elezioni presidenziali. A quasi due anni dalla storica sentenza della Corte Suprema che ha abrogato la garanzia federale sull’interruzione della gravidanza, gli Stati uniti sono oggi un labirinto di giurisprudenze contrastanti. L’intervento del massimo tribunale ha infatti rimesso ai singoli stati la facoltà di decidere in merito, e più della metà (ad amministrazione repubblicana) hanno da allora imposto forti restrizioni al diritto di abortire e severe sanzioni, comprese lunghe pene detentive, per chi agevoli l’operazione, compreso personale medico. Lunedì scorso la Florida è diventata il dodicesimo stato in cui è attualmente vietato abortire oltre la sesta settimana di gestazione, termine che esclude un gran numero di donne che spesso a quel punto non sanno ancora di essere incinte. In seguito al ricorso presentato da numerose associazioni per il diritto di scelta, la cassazione dello stato ha certificato un referendum su cui si voterà contestualmente alle presidenziali di novembre.

È uno sviluppo che sulla carta favorisce Biden dato che la questione aborto ha mostrato di essere quella maggiormente in grado di mobilitare la base democratica, in un anno in cui nelle fila del partito l’entusiasmo fa, a dir poco difetto, e di mobilitazione ne servirà parecchia. Le nuove restrizioni in Florida giungono poco dopo che la vicina Alabama aveva giuridicamente equiparato gli embrioni alle persone, una decisione che aveva a sua volta portato all’interruzione di ogni terapia di fecondazione assistita nello stato da parte di cliniche e ospedali timorosi di venire denunciati.

In seguito al clamore generale, lo stesso parlamento dello stato era successivamente tornato parzialmente sui suoi passi modificando il decreto per permettere una parziale ripresa della procreazione assistita. Tuttavia, con l’aggiunta della Florida, lo stato più popoloso della regione, il sud ex-confederato è oggi una sezione del paese decisamente ostile al diritto di scelta delle donne. E la privazione dei diritti in modo ora così palese ha chiaramente influito sulla motivazione di un elettorato che favorisce i democratici. Nelle elezioni midterm del 2022, l’indignazione provocata dalle nuove leggi restrittive ha favorito vittorie democratiche non solo in referendum specifici (come nel conservatore Kansas), ma anche nel respingere quella che era stata pronosticata come onda repubblicana alle parlamentari. I democratici sperano in un simile effetto e si sono spinti a dire che la Florida sarebbe ora “tornata in gioco”.

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Certo è che le donne promettono di essere un segmento determinante dell’elettorato dato che le correnti integraliste evangeliche che dominano ideologicamente il GOP dell’era Trump non hanno intenzione di moderare la spinta proibizionista su tutta la linea, comprese restrizioni draconiane alle pillole abortive, gli anti concezionali e, idealmente, una proibizione federale su tutto il territorio nazionale. Si stanno però moltiplicando le horror story di donne costrette a portare a termine gravidanze rischiose, o rischiare la setticemia prima di ricevere l’autorizzazione ad abortire. Gli effetti della crociata teocon cominciano a preoccupare lo stesso Trump che, fiutando l’aria, sa bene che spingere troppo su questo fronte non giova ai consensi nelle urne. L’ex presidente, che con la base ama fregiarsi di “aver fatto abrogare Roe vs Wade” (la garanzia costituzionale), ha spesso ripetuto che è tuttavia meglio non calcare troppo la mano quando si tratta di vincere la prossima elezione.

Se l’aborto sarà dunque un principale cavallo di battaglia dei democratici, nell’atmosfera elettorale inevitabilmente caratterizzata dagli slogan stenografati, i repubblicani spingeranno invece sull’immigrazione (o nella narrazione ufficiale di Fox news & co.) “l’invasione di criminali stranieri favorita da Biden per sostituire gli Americani veri con usurpatori che avvelenano il sangue della nazione”.

Ogni sondaggio conferma che l’antico dispositivo della retorica populista rimane straordinariamente efficace, ragione per cui verrà tenuto in vita dalla destra con ogni mezzo. Ne sono riprova i decreti anti immigrati varati, anche qui, da diversi stati “rossi.” In primis il Texas, dove il governatore Greg Abbott ha commissariato sezioni della frontiera, impedito i soccorsi a migranti che attraversano a nuoto il Rio Grande e infine firmato la legge che permette alle autorità locali di arrestare e deportare chiunque non sia in grado di esibire documenti di cittadinanza o residenza. La legge è attualmente sospesa per via di ricorsi ai tribunali costituzionali, ma ha già rischiato l’incidente diplomatico con il Messico, il cui presidente Andrés Manuel Lopez Obrador ha seccamente dichiarato che il suo rifiuterà il “rimpatrio” di cittadini non messicani (i messicani oggi rappresentano meno della metà della migrazione clandestina.) Malgrado questo, Trump continua a promettere che in un secondo mandato organizzerà le “più grandi deportazioni di sempre” per rimpatriare chiunque si trovi illegalmente nel paese (una popolazione stimata in circa 11 milioni di persone.)

Sul fronte dei candidati terzi, è arrivata al capolinea l’esperienza di No Labels, la formazione “centrista” che aveva tentato di arruolare un candidato moderato in alternativa a Trump e Biden. La morte di uno dei fondatori, l’ex democratico Joe Lieberman, ed il rifiuto di candidarsi di personaggi come Joe Manchin, Chris Christie e Nikki Haley ha segnato la fine dell’“esperimento” che preoccupava soprattutto la campagna Biden.

La settimana si è conclusa con il fundraiser repubblicano di Palm Beach che ha raccolto (secondo Trump) circa 50 milioni di dollari per i forzieri della campagna o, in alternativa, per le spese legali sostenute dal candidato. I contribuenti accorsi per finanziare Trump hanno rappresentato una vetrina trasparente degli interessi plutocratici che sono il motore finanziari della campagna. Nell’esclusivo club di miliardari ai quali Trump ha promesso nuovi sgravi fiscali erano presenti magnati di Las Vegas come Steve Wynn, finanzieri come John Paulson, che ha fatto fortuna sui mutui subrime, bancarottieri come Wilbur Ross, Michael Hodges, re dei crediti payday (prestiti anticipo su buste paga a breve scadenza).