Se Salvini piange la premier ha poco da ridere. Il leader leghista rischia il flop nella convention di Identità e democrazia di domani a Roma. Sembra una di quelle feste nelle quali gli ospiti, uno dopo l’altro, lamentano improvviso malessere. Non ci saranno i leader del Rassemblement francese e dell’AfD tedesca, non ci sarà Geert Wilders l’olandese che ha vinto le elezioni a novembre e perso il dopo elezioni la settimana scorsa quando ha gettato la spugna e ammesso di non essere in grado di costituire un governo.

Ci saranno le delegazioni, certo, quelle non si negano a nessuno. Ma non è la stessa cosa. Salvini promette però che il videomessaggio di Marine Le Pen sarà «impattante» e chissà cosa vuol dire. Ma l’assenza più imbarazzante non è estera ma italiana, anzi veneta. Non ci sarà Luca Zaia e se mai un’assenza ha avuto significato politico è questa. Quanto poco al partito del nord piaccia ancora Matteo Salvini non potrebbe essere più evidente.

A SUBIACO IL CONVEGNO su san Benedetto patrocinato da Francesco Lollobrigida è a tutti gli effetti una convention del gruppo Ecr, i Conservatori di Giorgia Meloni. Tutti firmano con ardente convinzione la Carta dei Valori, sotto lo sguardo vigile del «Santo Patrono d’Europa», il cui spirito «impregna il luogo sacro», alias Subiaco stessa, come si legge nell’incipit della Carta. Nel prosieguo è elencata in 12 punti una visione del mondo fondata sulla tradizione che sarà pure conservatrice però sembra piuttosto uscita dal Congresso di Vienna. Non che «si rifiuti il progresso». Però, grazie all’«umile riconoscimento della saggezza di coloro che ci hanno preceduti» si «riconosce» anche l’essenzialità di «valori duraturi».

IL PROBLEMA SORGE quando si tratta di passare dalla visione delle radici giudaico-cristiane, della «famiglia tradizionale», delle colonne rappresentate «dalla fede e dalla morale» alle più terragne strategie politiche. Gli spagnoli di Vox fanno sapere che loro, Giorgia o non Giorgia, Ursula von der Leyen ripresidente della Commissione non la votano.

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Il vicepresidente del gruppo Ecr a Strasburgo Jorge Buxadé parla dell’alleata numero uno di Meloni con toni, e spesso anche con termini, identici a quelli che usa cugino Matteo, che in effetti duetta: «Votare per von der Leyen è impensabile». Qualche differenza tra Vox e i radicali di Identità e Democrazia ci sarà pure. Però per scoprirla serve il microscopio. I polacchi del Pis invece non gradiscono l’imminente arrivo dell’ungherese Viktor Orbán nel gruppo Ecr. A Visegrad stavano a braccetto, poi si è messa di mezzo l’invasione dell’Ucraina e adesso non si possono vedere. In effetti stanno per ritrovarsi sotto la stessa bandiera il partito più filo Putin e quello più ostile a Putin che ci siano in Europa.

Il fresco acquisto francese, i radicali di Reconquete, invece sono turbati dall’ipotesi che si presenti alle porte zia Marine Le Pen, perché l’Eliseo val bene un inchino europeista. Meloni aveva arruolato Marion Marechal, leader con Eric Zemmour di Reconquete e nipote di Marine Le Pen, anche immaginandola come ponte per il possibile ingresso della formazione francese, una delle destre più forti d’Europa, nel gruppo dei Conservatori. Per ora non pare che funzioni.

NEMMENO IL PATRONO d’oltre Atlantico, Donald Trump, funziona più come cemento. Matteo Salvini lo esalta. Piace molto anche a quella parte dell’Ecr che si troverebbe benissimo nel gruppo di Identità. Un suo messaggio è atteso alla prossima convention della destra europea, in aprile a Bucarest, titolo eloquente «Make Europe Great Again». Ma per Giorgia Meloni, come per i polacchi, sarebbe in realtà molto più auspicabile una vittoria di Joe Biden il Progressista.